Commento

Salari e abusi alla prova del nove

(Francesca Agosta)
12 ottobre 2017
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Il Dfe e il suo direttore lo sanno e si stanno preparando al prossimo vero impegno di questa legislatura: il salario minimo e la lotta agli abusi nel mondo del lavoro. La ‘madre di tutte le battaglie’ che trasversalmente muove la destra populista come la sinistra, entrambe attente al disagio sociale dato da una struttura economica fragile e, al contempo, da accordi internazionali che tanto bene fanno alla Svizzera e tanto smarrimento generano nelle regioni di frontiera, Ticino in testa. Il Dfe lo sa, si diceva, e si sta preparando a svolgere quella funzione che più volte lo Stato ha guardato bene di assumersi (non solo a livello cantonale): mediatore di conflitti. Varato ieri il secondo pacchetto per estendere l’occupazione residente e combattere gli abusi, Vitta ha altresì annunciato che vi è la volontà di potenziare l’Ufficio cantonale della conciliazione, da lui presieduto, così da poter meglio intervenire là dove si creeranno conflitti fra i partner sociali. Senza interferire, ha aggiunto, nei compiti che non spettano allo Stato, come la contrattazione salariale fra le parti, ad esempio.

Si parlava di misure per il mondo del lavoro e si stava pensando al probabile scenario dei prossimi mesi, quando il salario minimo approvato dal popolo ticinese dovrebbe tramutarsi in legge di applicazione, con tutto quello che segue. E si pensava anche all’altra legge di applicazione di un principio costituzionale, questa volta federale, approvato contro l’immigrazione di massa e che in Ticino cozza inesorabilmente con “Prima i nostri”, terza iniziativa popolare varata dal popolo e presto – tramite vari atti parlamentari – in Gran Consiglio dove il Paese tornerà a dividersi.

Vitta sa che le forche caudine lo attendono soprattutto col salario minimo, che se troverà un punto d’intesa almeno in Consiglio di Stato (con un tetto minimo attorno ai 3’000?), certo vivrà giorni difficili prima in parlamento e poi fra i cittadini molto probabilmente nuovamente chiamati a firmare (questa volta un referendum) per tornare alle urne. Perché sul “tetto” non c’è l’intesa e le parti sono parecchio distanti. Sinistra e sindacati non sono disposti a scendere sotto i 3’500/3’700 franchi mensili, mentre le associazioni padronali restano sulla proposta di 2’700 franchi. Un baratro divide le forze in campo e c’è il rischio che si riproponga tutto nel Paese. Fondamentale dunque a quel punto il ruolo del governo che, come promette Vitta, saprà vestire i panni dell’arbitro così da impedire il peggio, ovvero la paralisi.

Salari e abusi nel mondo del lavoro sono nodi da sciogliere in tempi relativamente brevi, perché troppo si è atteso e troppo si è illuso. Oggi, dopo anni spesi a rincorrere la luna, ci sono gli strumenti. Occorre dunque un po’ di coraggio e di saggezza, da tutte le parti in causa. Il salario minimo, ad esempio, è un punto di partenza e non certo d’arrivo. Detta altrimenti, non si può delegare allo Stato la forza contrattuale che i salariati non riescono ad avere ; o la trovano, o saranno sempre perdenti. Dall’altra parte sarebbe bene comprendere che un sistema neoliberista senza freni e senza opportuni lacci, a medio termine danneggia tutti. Ma proprio tutti. Per contro, va detto, mai come in questo periodo in Ticino e in Svizzera si è concentrata l’attenzione sul mondo del lavoro e le relative “contraddizioni”. Certo, è solo il primo passo, ma ogni viaggio prevede tappe rapide e altre di compromesso con le proprie forze. Ciò che conta nel viaggio, a ben vedere, è trovare la strada.

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