Commento

Si riparte da zero. Anzi: da meno uno

25 settembre 2017
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Il 52,7% degli svizzeri che hanno votato (parliamo anche stavolta di meno della metà degli aventi diritto...) ha respinto la ‘Previdenza vecchiaia 2020’. Una maggioranza dei cantoni ha pure detto ‘no’ a un moderato aumento dell’Iva per finanziare l’Avs. Stabilizzando per una dozzina d’anni le finanze del 1° e del 2° pilastro, la riforma avrebbe dato ossigeno a un sistema previdenziale sotto pressione a causa dell’aumento della speranza di vita, dell’imminente pensionamento della generazione del ‘baby-boom’ e di una situazione di bassi tassi d’interesse dalla quale per ora non si intravede via d’uscita.

Lo avrebbe fatto salvaguardando le donne chiamate a lavorare un anno in più (la metà di loro avrebbe potuto continuare ad andare in pensione a 64 anni senza perderci nulla, ad esempio), in modo socialmente responsabile (senza penalizzare i redditi medio-bassi, con vantaggi per chi lavora a tempo parziale e persino con un aumento delle rendite Avs per tutti o quasi) e a costi ragionevoli (un lieve rialzo dei contributi Avs, il primo da 40 anni, e dell’Iva).
Ad affossare quella che sarebbe stata la prima, ampia riforma del sistema previdenziale da 20 anni a questa parte è stata un’eteroclita alleanza. Plr, Udc, organizzazioni economiche svizzero-tedesche, frange radicali della sinistra ‘latina’ e Giovani socialisti sono riusciti a indirizzare il dibattito su singoli elementi (i 70 franchi di bonus Avs, l’aumento dell’età di pensionamento delle donne) di un ‘pacchetto’ che invece andava semmai preso in toto. Alain Berset non si è stancato di ripeterlo. Ma l’inedito approccio globale voluto dal ministro della Sanità si è rivelato non pagante: troppa la carne al fuoco.

Si dovrà ripartire da zero, dunque. Anzi: da meno uno. Perché nel frattempo il buco nelle finanze già in rosso dell’Avs si scaverà (anche per effetto della diminuzione dell’Iva al 7,7% dal 1° gennaio 2018, la conseguenza più immediata del voto di ieri); e le casse pensione faranno sempre più fatica a garantire le rendite attuali con un tasso di conversione invariato al 6,8%.

Tutti sono d’accordo su un paio di cose: l’Avs ha bisogno in tempi brevi di nuove entrate, per cui un aumento dell’Iva tornerà presto sul tavolo; e il livello attuale delle rendite va mantenuto. Ma Plr e Udc dovranno spiegare come pensano di far digerire in tempi relativamente brevi al Parlamento e se del caso anche al popolo le prime portate del loro piano B: l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento delle donne e la riduzione del tasso di conversione nel 2° pilastro, entrambi bocciati ieri per la seconda volta alle urne. L’uno e l’altra dovranno pur essere compensati in un qualche modo, l’esperienza insegna. Dai vincitori (sinistra extra-parlamentare compresa) si attendono ora proposte costruttive.

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