Commento

Come fosse sempre la prima volta

17 luglio 2017
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L’emozione non è ai livelli di guardia, come in altre finali, più palpitanti e incerte. Ma solo per un attimo, quello che serve per fare astrazione dai sentimenti scossi per rendersi conto della portata di un’impresa al limite dell’impossibile. O meglio, al limite del paradosso, in contrasto con le regole dello sport: meno gioca, più vince. Illogico. Per gli altri, non per Roger Federer. È venuta un po’ meno l’incertezza, senza però scalfire la portata di un trionfo che arricchisce di un ulteriore capitolo memorabile la storia di una disciplina che Roger non smette di riscrivere, divertendosi a stravolgerne sempre i contenuti.

La sua è una storia infinita. È fatta di gioie e dolori – con le prime chiaramente predominanti – e di una serie di perle di rara bellezza, la cui collezione non è ancora stata completata. Il tempo si è fermato? Non è così. Gli anni passano. Il tempo corre, veloce, per Federer come per gli altri. La differenza – sostanziale – sta nella gestione dello stesso, dei suoi spazi, degli intervalli tra un appuntamento e l’altro, tra una vittoria di portata storica e una delusione cocente.

Il tennis è una questione mentale e atletica, oltre che tecnica. L’equilibrio è fondamentale, sia che si tratti di emozioni, sia che si parli di condizione fisica.

Federer dalla sua ha una perfetta gestione del fisico. La base sulla quale edificare il proprio successo è solida. Quando si è accorto di averne abusato, ha detto basta. Si è chiamato fuori, si è concesso una pausa per riposare e per ragionare in termini diversi, quelli di papà e marito. Uomo normale, restituito a una dimensione privata che in passato ha dovuto trascurare, per ritrovare gli stimoli e la salute, armi con cui riprendere la lotta. Più forte di prima, è non è la classica frase fatta. È la realtà. Non a caso, l’unico che sembra reggere il colpo è Rafa Nadal, a sua volta costretto a rimettersi in gioco e in discussione, per restare aggrappato al tennis ai massimi livelli.

A giudicare dall’esempio dei loro illustrissimi colleghi, Djokovic e Murray farebbero bene a pensare a qualcosa di simile. Nervi a fior di pelle, controprestazioni e acciacchi sono segnali chiarissimi. Chi li ha saputi ascoltare, oggi vince ancora, facendo gli sberleffi all’anagrafe.

È una questione di equilibrio. A una certa età, dopo anni di trionfi e con le motivazioni in leggero calando, può ancora fare la differenza. La prova è lì, in splendida forma, in tutta la sua eleganza. Risponde al nome di Roger Federer, uno che non ha smesso di commuoversi, come se fosse sempre la prima volta.

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