Commento

Una partita chiusa Altre si (ri)aprono

9 febbraio 2017
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Il 9 febbraio 2014 il ‘popolo’ svizzero (si legga: il 50,3% di chi votò) e una maggioranza dei Cantoni dissero ‘sì’ all’iniziativa popolare dell’Udc denominata ‘contro l’immigrazione di massa’. Bruciando inaspettatamente al fotofinish un 49,7% di contrari, in barba agli astensionisti e dando il solito schiaffo agli stranieri residenti privi di passaporto rossocrociato, accolsero una proposta che eredita lo spirito (e non solo quello: vedi il revival democentrista sullo statuto dello stagionale) delle iniziative anti-inforestierimento anni 70. Da quel giorno sono passati esattamente tre anni. Il Consiglio federale – così da allora lo obbliga la Costituzione – avrebbe dovuto applicare entro oggi con un’ordinanza il nuovo articolo costituzionale 121a, qualora il parlamento non fosse stato in grado di elaborare una legge per attuarlo. Non ce ne sarà bisogno. E non certo perché nel frattempo si sia riusciti a mettersi d’accordo con l’Unione europea, rendendo compatibile l’incompatibile (l’Accordo sulla libera circolazione delle persone con i contingenti, i tetti massimi e la preferenza agli svizzeri sanciti dalla Costituzione federale). Il bacio che Jean-Claude Juncker stampò sulla guancia di Simonetta Sommaruga (2 febbraio 2015), le “consultazioni regolari e approfondite” che ne seguirono...: poco più che valvole di sfogo per un governo apparso spesso in questi tre anni senza bussola, gesti buoni per partiti smaniosi di profilarsi, o per le speculazioni dei media. Ampiamente insufficienti, però, per avviare negoziati veri e propri. Ci ha pensato poi il referendum britannico sulla Brexit a dare la mazzata finale alle aspirazioni di chi sognava una soluzione consensuale con l’Ue. Bruxelles aveva ormai altre gatte da pelare. E così dalla scorsa estate – trainati da una solida alleanza Plr/Ps – tutti i partiti salvo l’Udc hanno deciso che bisognava andare avanti da soli. Imboccata la strada dell’unilateralità, la libera circolazione messa davanti a contingenti e tetti massimi, il parlamento in dicembre ha sfornato una legge (impugnata da un eteroclito insieme di comitati lanciatisi in un’avventura referendaria) con la quale si vuol attuare il mandato costituzionale attraverso una sorta di corsia preferenziale concessa ai disoccupati residenti rispetto ai lavoratori europei nella ricerca di un impiego. I Bilaterali sono salvi. E tanti saluti alla ‘volontà popolare’. Chiusa con l’Ue la partita dell’immigrazione (la ‘preferenza indigena light’ non è risultata sgradita a Bruxelles), se ne (ri)aprono altre. Sul piano interno, il fatto di avere una legge lontana chilometri dalla Costituzione, e che oltretutto non si sa bene quanto efficace sarà nel limitare l’immigrazione dai Paesi europei, non facilita il compito dell’alleanza creatasi a sostegno dei Bilaterali in vista della battaglia che si profila a un orizzonte lontano e ancora sfocato. Sola contro tutti, l’Udc si ritrova rafforzata nel suo ruolo di guardiana della bistrattata ‘volontà popolare’. Rösti, Blocher & Co. a giugno dovrebbero finalmente presentare, dopo aver a lungo tergiversato, la tanto sbandierata iniziativa popolare per disdire l’accordo sulla libera circolazione. Il Consiglio federale nel frattempo ha mandato in consultazione due varianti di un controprogetto diretto all’iniziativa ‘Rasa’, che chiede di stralciare l’articolo 121a della Costituzione. Nessuna delle due ha suscitato entusiasmo tra i partiti: un successo in votazione popolare – con o senza l’iniziativa, che potrebbe anche essere ritirata, e ammesso che il controprogetto superi lo scoglio parlamentare – appare oggi tutt’altro che scontato. Ma si dovrà pure, e ancora, giocare in trasferta, sul campo dell’Ue. Bruxelles insiste sulla necessità di concludere con Berna un accordo quadro istituzionale che regoli le modalità della ripresa del diritto europeo da parte della Confederazione e che definisca quale istanza (la Corte di giustizia dell’Ue, in linea di principio) sarà chiamata a comporre le controversie relative all’applicazione degli accordi bilaterali settoriali. In Svizzera nessuno, nemmeno il Consiglio federale ormai, vuol sentir parlare di ‘giudici stranieri’. Ma ciò non impedisce all’Unione di affilare le armi: nuove barriere tecniche al commercio che rendano la vita difficile alle imprese elvetiche orientate all’esportazione, aumento del contributo svizzero (il cosiddetto ‘miliardo di coesione’) all’Ue allargata. E magari anche nuove misure di ritorsione in ambito fiscale, se i vituperati regimi fiscali privilegiati concessi sin qui da alcuni Cantoni alle holding dovessero restare in vita per effetto di un non improbabile ‘no’ popolare, tra pochi giorni, alla Riforma III dell’imposizione delle imprese

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