Commento

Roger, il tennis questo te lo doveva

30 gennaio 2017
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Che cosa c’è di più bello dell’attesa? Di quella sensazione strana che si avverte quando si resta sospesi tra la realizzazione di un sogno e il suo coronamento? Il coronamento stesso. Sono emozioni impagabili, quelle regalate dalle palpitazioni, dall’ansia, dai dubbi di non potercela fare. Nulla, però, che possa competere con la gioia che sgorga dal cuore quando si taglia il traguardo più agognato. Tanto anelato da diventare un miraggio. Lì, a portata di mano, ma sfuggente. Obiettivo sfiorato più volte, anche meritato, ma mai centrato. Non stavolta. Perché stavolta Federer ha fatto centro. Ha trionfato e lo ha fatto da par suo, ossia da fuoriclasse che trascende lo sport, a coronamento di una favola a lieto fine – quella del suo rientro alle competizioni a 35 anni suonati sfociato nelle lacrime della Rod Laver Arena – che lo ha riportato sul trono del tennis sul quale, dopo l’impresa di Melbourne, resterà accomodato a vita, a prescindere dai numeri, dalle vittorie future (possibili, anzi annunciate), dalla grandezza degli avversari. Un’incoronazione che non gli deriva solo dal passato che gli ha fatto varcare le porte della leggenda dello sport (non solo quella del tennis, dimensione che a un atleta così sta stretta), bensì anche da un presente clamorosamente e magicamente esaltante. Oltre le più rosee aspettative? Si è tentati di dire di sì, alla luce dei 36 anni da compiere in agosto, degli acciacchi che dopo molti anni di strapazzi atletici lo hanno condizionato un po’, riconsegnandolo agli esseri umani, delle incognite legate alla lunga inattività. Sì, dai, è andato oltre. Ma è stato legittimato a farlo, in virtù dello statuto di Sommo al quale tutto può riuscire. Ci è voluto del tempo, è passato attraverso dubbi e delusioni, ma è tornato lì dove è giusto che sia e che stia, in cima. Ha mandato agli archivi il torneo del rientro con il trionfo più bello e sofferto, sbattuto in faccia all’amico e rivale di sempre, quel Nadal che è maestro di rimonte e di recuperi, che è però stato battuto sul suo terreno, quello della lotta a oltranza, fisica e di nervi. Ne è passato, di tempo, dall’ultima volta. Da quel Wimbledon targato 2012 che pareva il punto d’arrivo oltre il quale era negato l’accesso, anche a chi dalla sua parte ha l’intero stuolo delle divinità del tennis, che in un modo o nell’altro fanno da sempre il tifo per lui. Sennò non si spiegherebbero tante cose: dal talento di cui dispone, al fisico tagliato su misura per il tennis; dalla trasversalità che lo eleva a sportivo ammirato e amatissimo ovunque si palesi, alla capacità di rimettersi in gioco per riassaporare il gusto impagabile della vittoria. Diciamola tutta: il tennis ha rimesso le cose a posto. Dopo avergli reso difficile la vita dandolo in pasto ad avversari davvero ben messi. A partire proprio da Nadal, il cui ritorno ai vertici – per quanto non baciato dal successo finale – è per certi versi più clamoroso ancora, non fosse che per la serie di guai fisici patiti nelle ultime stagioni; per arrivare a Djokovic, a lungo intrattabile; ci si è messo anche Murray, pur continuando a gravitare a debita distanza. Il tennis non fa sconti a nessuno, ma sa essere generoso con chi lo sa magnificare. Federer ha fatto un passo indietro per farne due avanti. Il primo è stato quello più semplice: l’approccio. Il secondo, invece, quello più difficile, l’ennesimo trionfo grazie al quale scollinare a quota 18 Slam, un po’ più lontano di prima dagli inseguitori. Tutti costretti a rendere il giusto tributo al rivale che ha spezzato la lunga attesa coronando un sogno. Regalando al tennis una partita epica, l’ennesima. Uscendone vincitore. Ripagato per aver rimesso le cose a posto.

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