Commento

Il nodo migratorio

27 gennaio 2016
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Mentre il trattato di Schengen è sul banco degli imputati, si susseguono le riflessioni sul valore dei confini, sull’esigenza di ritrovare un’identità e salvare il mercato europeo. Analisi proposte spesso da chi vede nell’Europa unita un’enorme chance da tener viva, sia dal punto di vista ideale (come somma di importanti principi e valori condivisi), che economica (offrire un mercato unico, capace di reggere alle sfide degli altri). C’è anche chi loda l’Europa, pur fra mille ‘se e ma’, perché ha permesso a Stati confinanti fra loro di finalmente parlarsi, anziché combattersi. Ma non dimentichiamo che gli anni passano e si perde facilmente la ragione di certe vitali conquiste pagate generazioni fa, da taluni, anche col sangue. Ecco, oggi ci ritroviamo probabilmente in questa delicata fase, perché sono venuti meno i capi di Stato forti, di un’autorevolezza che affonda le radici nel secolo scorso, e pure un’opinione pubblica con una marcata memoria storica delle ferite del Novecento. È quindi possibile che si stia perdendo il significato e il vero valore di talune scelte di fondo, come quella sopracitata di eliminare i confini fra Stati tanto diversi, per creare un solo mercato economico e di idee. Forse anche perché, fra il momento dell’abbattimento dei confini nazionali marcanti e oggi, non c’è di fatto stato il tempo necessario per dar vita ad una vera identità europea. Ma è pure vero che la doccia fredda è proprio arrivata, mentre si stavano compiendo i primi passi nella nuova vita comunitaria. Ci riferiamo al problema delle centinaia di migliaia di migranti che hanno potuto varcare e stanno varcando i confini esterni dell’Unione. Barriere e filtri si sono sciolti come neve al sole. Eppure quei confini dovevano restituire all’Ue un’identità verso sud (Africa) e verso sud-est (Medio Oriente). La stagione delle migrazioni, che abbiamo vissuto tutti non senza apprensioni, è stata destabilizzante dal punto di vista identitario e della sicurezza. Gli Stati dell’Ue hanno rinunciato alle frontiere (politiche e culturali) nazionali in cambio di che cosa? Di un’Unione rivelatasi di fatto colabrodo. Va dato atto all’Europa di essere stata presa in contropiede da fatti del tutto inediti: migrazioni epocali e la comparsa del terrore dell’Isis. Fenomeni che seminano panico nei singoli Stati che procedono ora di testa loro. Schengen può attendere. La conseguenza è che la difesa interna è stata (ri)assunta dagli Stati nazionali, riesumando i vecchi confini. Ora l’Unione prova a rilanciare, ritentando di difendere le proprie frontiere esterne. Ma parte di questi Stati – per ora sei, guidati dalla Germania! – ha intanto chiesto di sospendere di fatto Schengen per due anni, permettendo di effettuare controlli alle loro frontiere. Tre di questi (Germania, Francia e Austria) confinano con la Svizzera, che a sua volta confina con l’Italia, terra naturale di accoglienza e di fuga verso nord. La sospensione del trattato avrà quindi anche importanti effetti sul nostro Paese e sul nostro cantone in particolare. In bilico non ci sono solo l’Unione e il suo trattato messo in naftalina, ma anche la politica d’asilo che va rivista rispondendo anche alla domanda scomoda, non politically correct, ma, come già scritto, dettata dal pragmatismo, che vuole permettere al sistema nel quale viviamo di sopravvivere pur mutando: ‘Quanti migranti della disperazione, della guerra, della fame possiamo accogliere riuscendo anche a integrarli?’. Se non sapremo aprire una riflessione sistemica, affrontando con molta razionalità e nuove idee, dall’ideale all’operativo, da noi e in altri Paesi, il nodo migratorio, ci penseranno i vari populisti a fare tabula rasa e a imporci le loro certezze. Al macero finiranno allora anche i valori più nobili. Per non parlare di altri rischi per le fondamenta stesse della nostra democrazia.

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