Commento

Destra e sinistra alla prova del nove

21 gennaio 2016
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L’occasione è ghiotta, perché vede a congresso i due partiti che nella Confederazione polarizzano la politica, mentre in Ticino faticano a rilanciare la propria identità: Udc e Ps. Entrambi sabato e domenica eleggeranno i rispettivi presidenti cantonali e i delegati sono chiamati, in qualche modo, a rinfrescare l’immagine di enti che hanno perso parecchio smalto per strada, sino addirittura a ritenere – c’è chi lo pensa seriamente – che i partiti tutti, così come li abbiamo conosciuti dalla fine dell’Ottocento, non esistano più. Chi, dunque, meglio di loro (destra e sinistra) può dare una risposta? A maggior ragione nella piccola e vibrante realtà chiamata Canton Ticino dove le contraddizioni, forse perché la frontiera qui è conflitto quotidiano, anticipano da sempre tendenze che oggi definiamo ‘virali’. Contagiose. Per quanto la sinistra, a sud delle Alpi, non è mai riuscita a essere virus epidemico, mentre la destra si è lasciata annacquare da un conservatorismo in salsa populista. Laboratorio, si diceva, il Ticino perché oscillante fra due poli apparentemente antitetici quali la dipendenza e l’autodeterminazione. La prima imposta dalle circostanze e dalle volontà oggettive e soggettive, la seconda rinchiusa nell’illusione. Perché senza l’Altro non si vive, e bene lo sanno i poli contrapposti. Perché per definire i nostri confini, non solo geografici, è necessario capire dove questi finiscono e inizia altro da noi. In politica, almeno in passato, era facile. A sinistra la libertà si conciliava con i diritti, libertà “di” (studiare, muoversi, lavorare, criticare), mentre a destra con l’individuo libero “da” (regole, Stato, vincoli). Per non dire l’uguaglianza, vero spartiacque ideologico. Poi tutto si è annebbiato e non va più di moda comprendere l’insieme, il contesto delle vicende (come peraltro ha appena fatto in maniera egregia Manuele Bertoli, con un pamphlet). Capita piuttosto che il tutto è anche – anzi, solo – parte, sempre più piccola e isolata, senza distinzione di sorta. In un mondo globalizzato, pensa il paradosso! Una lunga notte in cui tutte le vacche sono nere. E qui va detto la destra, Udc ticinese compresa, ha gioco facile e certo non cambierà. Basterà solo affidare il partito a un giovane brillante (che c’è) e organizzare un po’ meglio la macchina magari senza andare a sbattere, periodicamente, contro il carro armato leghista. Più complicato il compito socialista, perché se l’altroieri il vento soffiava sulle ali del progresso e del cambiamento (magari anche solo presunto), oggi ci credono solo coloro che… ci hanno creduto ieri. Ed è poco. Rimettere i diritti al centro della politica – magari conciliandoli con alcuni doveri – non è cosa facile. Tutt’altro. Anche perché oggi in Ticino l’autodeterminazione è l’unico sogno che resta a chi non ha più fiducia in una classe dirigente considerata – a torto o ragione – distante. Ne consegue che l’Altro è il solo vero nemico da combattere. O semplicemente quello che oggi offre il mercato delle disillusioni, ormai quasi sgombro da supporti ideologici. In un simile contesto, dove destra e sinistra quasi si annullano, ne risente il confronto democratico comunque necessario per ripartire con idee nuove e creatrici di sviluppo. Eppure ci piacerebbe, per dirla con Ilvo Diamanti, che questo nuovo anno ci portasse soggetti (politici) capaci di aggregare i sentimenti e non solo i risentimenti, anche solo per rinfrescare quell’ottimismo della volontà che in passato ha saputo dare ricchezza. Poi, magari, seguirà la ragione con quel sano pessimismo che non offre spazio alle illusioni. O quasi.

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