Commento

Lo sport non è più solo dell’atleta

2 gennaio 2016
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Lo sguardo a ritroso, in direzione di un 2015 al solito zeppo di eventi sportivi degni di essere ricordati, incrocia quello di Sepp Blatter. È segnato dalla lotta. Una lotta ormai persa – colpevole o vittima che sia – contro la sua uscita di scena dal panorama del calcio mondiale. Quel calcio che ha governato, arricchito e fatto crescere, fino alla sua esplosione. Conseguenza dell’ingordigia di chi vi gravita attorno, di chi vi ha trovato terreno fertile per speculazioni, affari e affaracci.
Una brutta pagina di sport. Una delle più infamanti della storia recente. Con una cassa di risonanza che solo una disciplina popolare come il calcio poteva garantire.
Benché, restando in tema di scandali, il mondo del pallone non sia il solo a essere uscito con le ossa rotte. Come non ricordare la bufera che ha travolto l’atletica leggera, e in particolar modo la federazione russa, accusata di doping esteso in stile Ddr?
Due storiacce, due esempi di quanto sia complicato ai giorni nostri governare un carrozzone che muove miliardi senza sbandare. O senza uscire di strada completamente, come fatto dai dirigenti della Fifa finiti in manette nell’ambito dell’operazione condotta dalla magistratura americana... “all’americana”, con tanto di manette in mondovisione nei pressi di un cinque stelle di una Zurigo ancora immersa nel sonno.
E ora? Quattro arresti e due sospensioni gettano fango, sollevano il coperchio e mostrano il contenuto, ma non risolvono il problema. Di certo non sorprendono nessuno. Ci può essere sdegno, ma non stupore.
Superato e vano, ormai, l’appello all’etica, al ritorno a valori decubertiani travolti da un presente che ha poco a che spartire con un passato intriso di quella vena romantica che ha fatto le fortune dello sport, nel frattempo evoluto in linea con una società della quale sa purtroppo essere espressione fedele. Tanto fedele da rispecchiarne i limiti, da imitarne i sotterfugi. Usati furbescamente a beneficio di fama e successo, costi quel che costi. Anche da quegli atleti che scelgono le scorciatoie, o di percorrere sentieri ambigui, contribuendo a insozzare una realtà che fortunatamente sforna ancora esempi positivi.
Ecco che quindi, per combattere l’immagine laida di chi non fa che arrecare danno, è salutare tuffarsi nei ricordi regalati da chi lo sport ha saputo esaltare, dandone un’immagine più fedele alla sua natura, fatta di risultati, di record, di gesta e prestazioni memorabili. Il tentativo va fatto, per non farsi trascinare nel vortice di negatività scatenato in un 2015 che passerà alla storia per Blatter e Platini più che per Federer o Lara Gut. Ben sapendo che farsi cullare dal gesto e dal talento è operazione sì consolatoria, ma pure un tantino illusoria.
Il fatalismo e il senso della realtà inducono a pensare che la deriva sia inesorabile, i recenti fattacci ci convincono che lo è. Sono carezze, ma risultati, imprese e record non bastano a riconciliarci con lo sport, con il suo volto pulito, a scapito della cappa sinistra che lo adombra quando la ribalta viene occupata da chi per mandato dovrebbe invece starsene dietro le quinte a muovere i fili. Nell’ombra, dove invece fioriscono intrallazzi e magheggi, protetti dal sipario dietro il quale lo sport viene sottratto agli atleti. Per finire nelle mani di chi lo governa, sottratto a chi lo pratica. Per quanto, per gli appassionati – bontà loro – il calcio è del Barcellona, e non di Blatter. L’atletica è di Selina Büchel, più che di Lamine Diack.

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