Commento

Una famiglia poco famiglia

24 dicembre 2015
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La convivialità attraverso l’immagine della famiglia riunita attorno alla mensa domestica: ha parlato di questo, papa Francesco, in occasione di una sua recente catechesi in San Pietro, dimostrando ancora una volta di saper andare al sodo. Molto al sodo. I suoi sono pensieri, che stuzzicano, in particolare a Natale, anche un non credente.
È vero che, per la chiesa cattolica e per i fedeli, il mangiare seduti a tavola, lo spezzare il pane, quel ‘mangiate e bevetene tutti’, sono gesti che ricordano colui che è e che prima di morire ha persino detto loro ‘fate questo in memoria di me’. Gesti dal significato profondo e rituali attorno ai quali si ritrova ogni domenica la comunità.
Ma, dentro le parole di Francesco, ci siamo anche noi. Noi con la nostra frenesia. Nella sua riflessione il papa è stato infatti capace di collegare il banchetto natalizio al momento della pausa pranzo, come (purtroppo) taluni di noi lo vivono. Cioè ormai svuotato della sua importanza: distratti dalla tv accesa a fianco della tavola imbandita, il cui sottofondo, quando non si fa frastuono, si somma banalmente allo squillo di qualche telefonino. Con ciascuno affaccendato a fare quello che meglio crede, ma non necessariamente ad allacciare un contatto umano con chi gli siede accanto. Situazioni come queste hanno fatto dire al papa che “una famiglia che non mangia quasi mai assieme, o in cui a tavola non si parla, ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia poco famiglia. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato”.
E purtroppo c’è anche di peggio. Un sacerdote (protestante) di recente mi ha raccontato che alla fine di un’attività coi ragazzi, li ha invitati a rimanere da lui a cena. Vergognandosi un po’ e pensando di rimediare una figuraccia, ha suggerito di ordinare un paio di pizze volanti. Con sua grande sorpresa la sua offerta è stata invece molto apprezzata perché alcuni ragazzi gli hanno confidato che, quando arrivano a casa, non c’è nessuno che prepara il pasto. E finiscono per mangiare da soli davanti al refrigeratore. Insomma, da recuperare, c’è parecchio. In particolare il senso dello stare assieme – cominciando dal Natale – attorno a una tavola imbandita, tornando a dialogare fra commensali, senza essere interrotti o infastiditi. Non è un fatto scontato: basti pensare a quante persone si vedono al ristorante coi figli con mezzo occhio al piatto e l’altro al tablet, mentre vengono imboccati. Perché altrimenti non mangerebbero o non lascerebbero in pace i genitori. Oppure, perché, appena vuotato il piatto, sarebbero incapaci di relazionarsi con chi sta loro accanto, mentre entrano tranquillamente in contatto attraverso le tecnologie con chi vive magari anche a migliaia di chilometri di distanza. Chissà a casa loro…
C’è chi vede in simili atteggiamenti la manifestazione di un individualismo e di un egoismo crescenti, sdoganati. Può darsi che in parte sia così, ma può anche darsi che chi si comporta in tal modo non si renda nemmeno più conto del grado di inciviltà raggiunto. Le tecnologie sono potenti e sempre interessanti quali fornitrici continue di novità che in ogni momento bussano con qualche bip e ti distolgono dalla realtà vera e da esseri umani in carne e ossa.
Dobbiamo averne coscienza e saperle gestire meglio. Come?
Semplicemente spegnendole mentre frequentiamo l’altro. Alternative non ce ne sono. O, meglio, ci sono: lasciarle accese e continuare a ignorarsi vivendo l’uno accanto all’altro.

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