Commento

Dittatura da esportazione 

27 luglio 2015
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Stremati nel corpo, ma il loro sguardo è risoluto: sono gli occhi di chi è stato all’inferno e non ci vuole più tornare. Le migliaia di eritrei che arrivano in Svizzera ogni anno fuggono da una schiavitù militare che li obbliga ad arruolarsi, anche a 15 anni e anche per tutta la vita, in condizioni disumane. Chi può scappa. Per l’autorità elvetica hanno diritto ad una protezione. Ne stiamo accogliendo a migliaia. Ma purtroppo, il clima di terrore che si respira ad Asmara, questi esuli, lo respirano – in dosi minori – anche a Lugano, a Zurigo, a Ginevra, dove si ritrovano ancora oppressi dalla stessa razza di ‘oppressori’ che si sono lasciati alle spalle. È un vero incubo. Non sono più vessazioni fisiche, ma ricatti e, se necessario, estorsioni. Una subdola forma di racket organizzato su suolo svizzero, che raccontiamo a pagina 2 e 3. Ci riguarda tutti perché, seppur indirettamente, soldi delle nostre imposte finiscono ad un regime militare. I fatti in breve. Gli eritrei della diaspora devono pagare una tassa del 2% all’anno sui redditi (che si aggiunge alle imposte da versare allo Stato che li ospita). Non è una donazione libera ma un tributo raccolto illegalmente in Svizzera, dove la rete consolare eritrea pare in grado di garantire un certo controllo anti evasione. Una rete ben oliata dalla quale nessuno scappa. Un controllo capillare esercitato non solo da certi funzionari del consolato, ma anche da persone ‘fidate’ all’interno delle comunità. Anche in Ticino abbiamo eritrei insospettabili, in posizioni dove possono facilmente monitorare chi qui arriva. Ma invece di aiutare i loro connazionali a vivere finalmente in pace, registrano la loro presenza e la segnalano al consolato, ‘convincendoli’ a pagare una tassa illegale. E convincerli a pagare non è difficile perché quasi tutti, soprattutto chi ha una parte della famiglia ancora in Eritrea, pagano e quasi nessuno parla. Vige l’omertà assoluta. Questo fiume di denaro parte dalla Svizzera e finisce nelle casse di un regime militare. (Il sospetto dell’Onu è che questi soldi vadano a finanziare il terrorismo). Un racket che ci concerne tutti. Infatti gran parte dei rifugiati eritrei è in assistenza, sono ospitati e nutriti grazie alle nostre imposte. Ed è irritante scoprire che i nostri soldi vanno ad alimentare un regime militare, che non si accontenta di reprimere i propri cittadini in patria, ma li vuole sottomessi anche all’estero. Gli eritrei sono vittime due volte, gli svizzeri gabbati. Berna deve trovare gli strumenti adeguati per tagliare i lunghi tentacoli che il regime di Asmara ha radicato in Svizzera, in ogni cantone. Chiudere gli occhi rischia di minare lo spirito di solidarietà che muove ogni elvetico verso chi ha bisogno. Un timido moto di ribellione sta germogliando a Ginevra, da giovani eritrei, che non vogliono più pagare e sottomettersi ai ricatti. Ci sono state proteste degli immigrati perché in alcuni casi il tributo è stato raccolto nelle chiese al termine delle funzioni religiose. Ora, che i media iniziano a parlarne, i diplomatici eritrei ed i loro fedelissimi si sono fatti più guardinghi. Ma trovano ogni forma di escamotage per continuare a drenare soldi dagli immigrati. Ogni eritreo in Svizzera è una grassa vacca da mungere. Continuare a tollerarlo significa permettere ad un regime militare di esportare la sua ‘dittatura’ in casa nostra. Mentre chi ci chiede protezione, deve poterla trovare.

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