Commento

Elezioni, fallimento del centrismo

29 aprile 2015
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E se le elezioni ticinesi fossero il fallimento del centrismo? Non fosse che per un’ammissione diventata comune: il Ticino è svoltato a destra. Ammissione però parziale: anche la sinistra estrema ha avuto la sua vittoria. Il centrismo politico è l’esaltazione di quella che è stata definita la società post-politica. La società in cui la politica ha tirato i remi in barca ed è diventata succube dell’economicismo (cioè la riduzione della vita sociale, politica, culturale ai soli principi economici ritenuti preminenti su tutti gli aspetti della vita umana). Il centrismo esprime anche la volontà di espellere dal proprio corpo l’ideologia, ritenuta superata o nefasta, alle volte cercando di nasconderla o di mimetizzarla con “il sentire comune della gente”. A meno che si ritenga “ideologia” comune ciò che vien definito con eufemismo “pensiero unico plurale” o anche il fenomeno del populismo (che ha però molte forme e molte definizioni). A ben pensarci il centrismo è una sorta di fatalità storica-politica: ritenendo che non ci possa essere alternativa economica a quella che impera ormai da trent’anni, è prevalsa l’idea che per sopravvivere politicamente in un modo o nell’altro è giocoforza giocare al centro. Quindi, in una sorta di spazio vuoto in cui le ideologie si neutralizzano, si sfumano. Tanto da rendere corrente l’idea che, in fondo, i programmi di partito si assomigliano tutti. Insomma, anche un luogo ideale per accettare la dissoluzione della Politica, con la p maiuscola (quella che implica idee, progetti e decisioni), per rassegnarsi ad amministrare senza disturbare gli altri poteri, per addossare con facilità ormai sistematica le proprie inadempienze o incapacità su “nemici” esterni, a sud o a nord. Imprecando, che fa sempre effetto. Accontentando la gente. Ad elezioni avvenute forse ci si è accorti che quel centro non esiste più. Che è solo uno slogan (caro all’esistenza pipidina; tentazione bilanciante per le anime Plr; usurpazione furbesca nella propria definizione da parte dell’Udc; dubbio mimetizzante del Pst e dei Verdi), che è venduto come un’immaginaria ubicazione politica per acchiappare voti illudendo di non essere né troppo di qua né troppo di là, che serve spesso (anche nella sinistra rassegnata al dio mercato) per evitare spiegazioni a giustificazione delle proprie serie capacità propositive. Il c.d.d., il come dovevasi dimostrare, lo si potrebbe riscontrare con evidenza nelle perdite del Ppd che, pencolando a destra contro sua natura (v. Bertagni), illudendosi di onorare il centro, ha perso il suo baricentro; nell’inconcludente centralismo neutralizzante del Plr; nel risultato a somma zero del Pst la cui perdita sarebbe stata contenutisticamente più giustificabile se meno imputabile a un relativo tatticismo centrista; nella delusione dei Verdi che per non essere assommati alla sinistra si sono alquanto evaporati in un’improduttiva voglia centrista; nello stesso successo della destra che, a ben pensarci, nell’una (leghista) e nell’altra formazione (Udc-destra) hanno giocato duro non mistificandosi al centro; nel successo della sinistra estrema (Mps-Pc) che si è profilata con argomenti rigorosi e coerenti, in ovvia antitesi alla destra e persino alla sinistra tradizionale, proprio su temi forti cantonali.

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