Economia

La battaglia del ‘caricatore unico’

L’Europa che non riesce a fissare uno standard per spine e prese elettriche, forse più utile alla mobilità delle persone, ci prova coi cavetti

Il cavo della discordia
(Keystone)

Nel significato più comune del termine, «concorrenza» è una situazione nella quale si hanno più fornitori che offrono servizi non perfettamente identici e anzi tentano spesso di differenziarsi l’uno dall’altro. Il vino rosso è venduto in bottiglie dello stesso formato, ciascuna delle quali contiene un certo numero di bicchieri e richiede, pertanto, un dato numero di commensali oppure un determinato lasso di tempo per essere bevuta. Ma guai a dire al produttore di vino che il suo è per l’appunto nient’altro che quello: vino. Ogni vignaiolo desidera che il suo vino sia diverso da quello di tutti gli altri, per quanto all’apparenza gli somigli.

Regole

Il comparto è regolato da regole ferree ma, per come possono, i produttori inventano tecniche produttive diverse (farlo invecchiare in botti di un tipo o di un altro) appunto per esaltare la differenza. L’accezione comune della «concorrenza» è spesso rifiutata dai legislatori. Nell’Unione europea, per esempio, pare che siano politiche «pro-concorrenziali» tutte quelle che vengono incontro alle «frustrazioni dei consumatori», per come queste ultime vengono interpretate e ridefinite dalla Commissione europea. Thierry Breton, il commissario per il mercato interno, ha annunciato una proposta di legge per portare le imprese dell’elettronica di consumo ad adottare, tutte, un unico modello di cavetto per collegare il telefono cellulare di loro produzione a un caricatore.

La battaglia per il «caricatore unico» sarebbe il non plus ultra della concorrenza, perché «con la nostra proposta, i consumatori europei saranno in grado di utilizzare un unico caricatore per tutti i loro dispositivi elettronici portatili». L’Europa che non riesce a fissare uno standard per spine e prese elettriche, forse più utile alla mobilità delle persone, ci prova coi cavetti. La Commissione aveva aperto la pratica attorno al 2007/2008, quando si stima che esistessero trenta tipi di caricatori e cavetti diversi.

Nel 2009 venne sottoscritto un Memorandum of Understanding con cui le imprese si impegnavano a cercare di sviluppare sistemi più interoperabili. Da allora, il mercato è cambiato e si tende a separare il cavo di collegamento dal caricatore vero e proprio. Secondo alcune ricerche, oltre il 40% dei consumatori ha comprato almeno un «secondo» strumento per caricare il telefono, al di là di quello principale ottenuto al momento dell’acquisto. Non risultano differenze, in merito, fra consumatori Apple e consumatori Android. In generale, però, a comprare almeno una volta un secondo caricatore sono stati soprattutto i consumatori più giovani.

Come sa chiunque abbia uno smartphone, c’è tutta una offerta di cavetti e charger prodotti da aziende relativamente piccole, che si differenziano sui dettagli più diversi. Meno del 10% di chi ha acquistato un secondo caricatore lo ha scelto «integrato» cavo e charger assieme, proprio perché ormai sul mercato dominano gli strumenti «scomponibili». Il che suggerirebbe che sono effettivamente più «interoperabili» e soprattutto che non necessariamente il caricatore «in più» deve essere buttato via al momento in cui si cambia il telefono. Per quanto riguarda la bocchetta di connessione, ormai siamo arrivati ad averne solo di tre tipi: Micro-USB, USB-C e Lightning. Si stima che a fine anno pressoché tutti i nuovi cellulari Android useranno USB-C e non la vecchia Mini-USB.

Nei prossimi cinque anni, insomma, gradualmente il mercato stesso pare destinato a convergere su due opzioni: una per Apple, l’altra per il resto del mondo. La norma che è in cottura a Bruxelles è dunque una regola «ad aziendam»: l’obiettivo è Cupertino.

Il calcolo dei benefici

Qual è il beneficio atteso? Verosimilmente, che si buttino via un po’ meno cavetti e un po’ meno caricatori quando un consumatore decide di passare da Android ad Apple e viceversa. Francamente, è difficile immaginare che quella sia la prima preoccupazione degli utenti, che semmai si pongono il problema di come portare in salvo, al momento della migrazione, le loro fotografie e i loro dati. C’è un vantaggio per l’ambiente? Lo stesso studio d’impatto della Commissione (realizzato da Ipsos e Trinomics) stima che sia molto modesto, in termini di riduzione di rifiuti elettronici. Il vero costo dell’armonizzazione è del genere che è facile non vedere.

Libertà d’impresa è sviluppare il prodotto (o il servizio) che si desidera, sottoponendosi al giudizio del consumatore. Togliere ai produttori (peggio ancora, a un singolo produttore) la libertà di realizzare il prodotto che vuole come vuole, un prodotto perfettamente legittimo, funzionante e non fraudolento, s’intende, significa limitare la libertà d’impresa.

È vero che il cavetto di collegamento non è la singola differenziazione di prodotto più interessante per i consumatori. Ma è altrettanto vero che batterie e tecnologie di caricamento attraversano anch’esse un periodo di transizione: ridurre tutto, per legge, a una sola opzione incentiverebbe le aziende a battere nuove strade e a migliorare le tecnologie di caricamento? È probabile che l’abolizione di differenziazione ovvero di ogni tecnologia «proprietaria» in quest’ambito non sarebbe un gran incentivo agli investimenti. Il dopo-Covid è l’ennesima prova per l’Unione europea. Il mercato interno da anni attende di essere completato e, come sappiamo, sono ancora molti i colli di bottiglia che impediscono la piena integrazione di mercati importanti. Non serve essere euroscettici per domandarsi se a Bruxelles davvero non hanno altro da fare che occuparsi di cavetti per cellulari.

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