Economia

Amazon vuole la sua moneta digitale

Secondo indiscrezioni il gruppo di Bezos starebbe puntando a introdurre un proprio token dal 2022

A Bezos's world? (Keystone)

L’affare delle criptovalute s’ingrossa con la società commerciale dotata della rete più vasta del mondo, Amazon, che ha fatto trapelare l’intenzione di creare una sua moneta digitale. Indiscrezione alla quale un anonimo portavoce del gruppo fondato da Jeff Bezos fa seguire una mezza smentita.

Investire in Bitcoin e nelle altre criptovalute nate all’ombra di quella lanciata nel 2009 dal misterioso Satoshi Nakamoto, non è mai stata roba per gente debole di cuore, ma ora il gioco si fa assai più rischioso: da mesi il Bitcoin oscilla paurosamente dopo aver raggiunto i massimi in primavera e poi essere precipitato non solo perché esposto a sortite speculative di ogni genere, ma anche perché personaggi del calibro di Elon Musk non si fanno problemi a influenzare i mercati lanciando messaggi di segno opposto a pochi giorni di distanza uno dall’altro.

Il capitolo più recente è quello alimentato dal gruppo di Jeff Bezos che qualche settimane fa ha fatto salire le quotazioni dei Bitcoin (passate in pochi giorni da meno di 30 mila a quasi 40 mila dollari, per poi riprecipitare di nuovo), prima lanciando un’offerta di lavoro per un manager, si legge nel bando, che verrà chiamato a guidare la strategia del gruppo nel campo delle criptovalute e della blockchain. Poi una fonte anonima del gruppo ha parlato al giornale britannico «City AM», di una volontà del gruppo di accettare pagamenti in criptovalute già dalla fine di quest’anno. Secondo il quotidiano finanziario, sarebbe lo stesso Bezos a voler accettare in un primo momento i Bitcoin per poi introdurre, dal 2022, un proprio token: la moneta di Amazon. Altra impennata del Bitcoin del 12% alla quale è seguito un calo del 5 quando un altro portavoce (sempre anonimo) della società di Seattle ha smentito l’indiscrezione, pur confermando l’interesse per le criptovalute.

Ma un vero capolavoro lo aveva fatto a metà della scorsa settimana Elon Musk. L’imprenditore, geniale ma anche molto sregolato (nonostante le sanzioni della Sec, la commissione che sorveglia le Borse americane) è un sostenitore delle criptovalute. Qualche settimana fa, però, aveva fatto crollare i suoi beniamini, Bitcoin e Dogecoin, descrivendo quest’ultimo come una roba da non prendere troppo sul serio e «scomunicando» così la maggiore criptovaluta del mondo. Musk aveva scoperto che per estrarla dai computer si consuma troppa energia e aveva smesso di accettarla come pagamento per le sue Tesla.

Scoperta curiosa visto che l’elevato consumo di energia delle valute digitali viene denunciato a gran voce da anni. A distanza di qualche settimana, però, da Musk è arrivato una altro dietrofront.

Mercoledì, a una conferenza digitale sulle criptovalute, ha riabilitato il Bitcoin perché i cinesi stanno chiudendo le centrali a carbone più inquinanti usate per produrre energia per le criptovalute. Che, quindi, adesso gli  paiono un po’ meno inquinanti. Altra strana scoperta, visto che aperture e chiusure di centrali seguono programmi pluriennali ben noti. Ma le parole di Musk hanno comunque prodotto una prima impennata del Bitcoin (seguita poi da quella dovuta ad Amazon). Oltretutto il fondatore di Tesla ora ipotizza di tornare ad accettare criptovalute per il pagamento delle sue vetture.

Un alto aiuto al Bitcoin, con retrogusto surreale, è venuto, nello stesso evento di Musk, anche da Jack Dorsey: il capo di Twitter ha detto che la criptovaluta avrà un ruolo nel futuro della sua rete sociale, e poi è arrivato a parlare del Bitcoin come di una realtà che può contribuire a diffondere la pace nel mondo. 

Rimane il fatto che tutti i leader di «Big Tech» appaiono ormai decisi a entrare in questo business (il primo era stato Mark Zuckerberg, già qualche anno fa, con Libra, ma allora i tempi non erano maturi e il fondatore di Facebook preferì fare un passo indietro).

Ora che si muove Amazon, è prevedibile che anche gli altri seguano. C’è, però, un’incognita: i governi, che fin qui non sono intervenuti consentendo al nuovo business di crescere senza vincoli, ora pensano di introdurre forme di regolamentazione. Negli Stati Uniti a chiedere a gran voce al ministro del Tesoro, Janet Yellen, di fissare limiti precisi per l’attività delle valute digitali è stata, nei giorni scorsi, anche Elizabeth Warren. La senatrice progressista (ed ex candidata alla Casa Bianca) è preoccupata per l’uso sempre più frequente dei Bitcoin e di altre criptovalute per affari illegali come il pagamento di riscatti agli hacker che si insinuano in siti e reti aziendali, li paralizzano creando un criptaggio dei dati e si fanno pagare (in Bitcoin) per rimuovere il blocco. La Yellen non ritiene di avere vasti poteri d’intervento in quest’area, ma segue comunque con attenzione le monete virtuali anche perché è stata in passato capo della Federal Reserve che ora, come molte altre banche centrali, sta pensando di emettere valute digitali, anche se legate al dollaro e quindi lontane dalla logica di decentramento del potere proprio della blockchain.

  Del resto lo spirito anarchico iniziale è sempre più difficile da ritrovare, man mano che l’affare delle criptovalute s’ingrossa (all’inizio di luglio valevano complessivamente circa 650 miliardi di dollari) suscitando l’interesse della finanza tradizionale. Uno sviluppo inaccettabile per molti puristi della blockchain che, come nel caso del cofondatore di Ethereum, Anthony Di Iorio, abbandonano le criptovalute denunciando il tradimento della filosofia che era alla base del progetto.

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