Economia

La dieta di Google: niente più cookies da terzi

La guerra dei cookies passa dal piano normativo a quello commerciale e oggi sta diventando 'Google contro tutti'

La colazione è servita (Depositphotos)

Caffè, brioche e pubblicità. Non è forse vero che al mattino, appena ci svegliamo, prendiamo il nostro smartphone con una mano e il caffè con l’altra?  Caffeina e cookies, i biscotti digitali che ci inseguono per consigliarci il migliore spot. La pubblicità online è tutta una questione di diete: ci sono i biscotti americani (buoni, ma con tanto burro), quelli con le goccioline di cioccolato (deliziosi, ma con il colesterolo), quelli agli zuccheri complessi (polisaccaridi con calorie!), quelli con l’olio di palma e, al limite, qualcuno un pochino più integrale (ma in questo settore la dieta mediterranea non esiste). Il dilemma è questo: per fare la colazione avete solo i biscotti a vostra disposizione. E saltarla fa male, si sa.

Allora una delle diete possibili è ridurre non la quantità, ma la scelta dei biscottini disponibili. Dal 2022 niente più cookies di terze parti: è la dieta proposta da Chrome, il browser di Google. Prima reazione: evviva! Finalmente qualcuno pensa alla salute. Che i cookies di terze parti non siano la dieta migliore non è un mistero. Sono quelle fastidiose pulci digitali che permettono alle pubblicità web di «seguirci» quando saltiamo da un sito web a un altro. Le usano tutti. Aiutano la profilazione dell’utente ucdjx24b. Insomma, riconoscono che Massimo Sideri ha guardato per esempio su Yoox una poltroncina di Philippe Starck e gliela ripropongono ad libitum (anche se la poltroncina è stata acquistata online e ormai il consumatore cerca altro, ma questo è un altro discorso).

Google dice: basta pulci online. Non è nemmeno la prima: Firefox ne ha fatto un marchio di fabbrica. Safari bloccava già tutto, perché tanto se lo usate siete già dentro un bell’ambiente Apple e quindi vi protegge da armi, acciaio e malattie digitali.

Google però è il più grande venditore online di pubblicità nel mondo occidentale ed è anche il motore di ricerca più utilizzato con picchi in Europa che superano di molto quelli americani.  E sa già chi siete perché esistono altre tipologie di «biscotti», quelli che ci vengono presentati come fondamentali per il funzionamento del sistema. Nel rapporto Google-utente non cambierà nulla: la dieta della vostra colazione sarà sempre caffè e biscotti, ma alla marmellata. Si tratta solo di capire se è una dieta migliore, peggiore o uguale alla precedente.   Dieta Dukan o Diet Coke che non ha zuccheri ma poi, se leggete bene tra le controindicazioni,  ha effetti lassativi? C’è un diavolo nascosto nei dettagli?

Il freno europeo

La risposta non è facile e sta facendo discutere tutta l’industria della pubblicità online. Non è facile perché le pulci sono fastidiose, odiose. Si comportano, come diceva Carlo Emilio Gadda, un po’ come i pronomi, i pidocchi del linguaggio: io, noi, voi. Quando ci sono i pidocchi uno si gratta.

C’è chi richiama le virtù calviniane della molteplicità: senza cookies di terze parti, i piccoli che fine faranno? Chi dice che siamo di fronte alla fine della libertà stessa della Rete perché allora bisognerà pagare per i contenuti (ma è così scandaloso?   Se non paghi, il prodotto sei tu. È già stato detto ed è difficile da scardinare come legge empirica). Peraltro non dobbiamo dimenticare che in tutto questo le leggi esistono già. La Gdpr europea, la General data protection regulation, è diventata una modello occidentale. E anche se è stata sostanzialmente sterilizzata con un pop-up che si apre ogni volta che entriamo su un sito nuovo e a cui diamo, stizziti, il nostro okay (in sostanza un altro tipo di pulce o pidocchio, o pronome...) rimane uno strumento potente che permette di conoscere quali sono i cookies aggiuntivi, tipicamente quelli di terze parti, e bloccarli.

Una guerra commerciale 

È moralmente obbligatorio ricordare che tra i fautori di questo nuovo modello c’è stato un grande personaggio come Giovanni Buttarelli, al tempo garante della privacy dei dati a livello europeo, magistrato con una spiccata sensibilità per le pieghe e le trappole dell’evoluzione etica del digitale purtroppo scomparso prematuramente nel 2019 dopo avere affrontato con coraggio un male terribile. Fu lui a convincere Tim Cook, ceo di Apple, e Luca Maestri, cfo di Cupertino, dell’importanza di questa maggiore attenzione verso l’utente (va sottolineato che stiamo parlando di due modelli di business totalmente diversi visto che Apple non si basa sulla pubblicità, ma sostanzialmente sul pagamento della sicurezza, del design e dell’appartenenza a una community).

La guerra dei cookies è dunque passata dal piano normativo a quello commerciale e oggi sta diventando 'Google contro tutti'.

Incastrare il puzzle non è facile. Per l’utente potrebbe anche per certi versi aprirsi una fase di maggiore trasparenza: so che quando uso Google leggono anche le parole chiave nella mia Gmail e lo accetto (non vi stupite, c’è scritto nel contratto: non vi avevamo detto che il prodotto eravate voi?).

Di fatto quello che firmiamo è un contratto con il quale rinunciamo legalmente a una parte della nostra privacy.  Questo è uno dei punti più delicati sollevati da valenti esperti come Oreste Pollicino, professore all’Università Bocconi e membro del comitato esecutivo dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali: "La fine dei cookies di terze parti annulla apparentemente l’approccio chirurgico alla profilazione e così Google strizza gli occhi alla Gdpr e alle accuse di una anticipazione delle nostre preferenze, come quella del Capitalismo della sorveglianza di Zuboff. Anche se tra Google e utenti in definitiva non cambia molto". 

Ma contro la dieta Google c’è un’argomentazione indiscutibile perché c’è un’ampia letteratura economica che la analizza: se togliamo dagli scaffali gli altri biscotti la dieta diventa oligo-proteica. Una dieta oligopolistica di ambienti chiusi, come anche Facebook e Amazon. Chi ci assicura che, dopo, gli oligopolisti non decideranno di mettere in commercio solo biscotti all’olio di palma e magari anche con un po’ di burro di arachidi che piace tanto al consumatore americano?

Post scriptum: il padre di Philippe Starck era un ingegnere aeronautico e gli insegnò che il difficile non è far decollare gli aerei, ma non farli cadere. Internet è decollata. Ora il difficile è tenerla su.

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