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‘Noi adolescenti scomparsi dai registri scolastici’

La fobia scolare di Martina, la rabbia di Sergio. Entrambi hanno abbandonato le medie. Dalla vita reale al nuovo saggio dell’educatore Matteo Beltrami

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La fobia scolare di Martina, la rabbia di Sergio. Entrambi hanno abbandonato le medie. Dalla vita reale al nuovo saggio dell’educatore Matteo Beltrami

30 maggio 2022
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La maggioranza ce la fa, ma una bella fetta di adolescenti va alla deriva, scompare dai banchi di scuola. Riagganciarli è un’impresa. Non c’è una ricetta che vale per tutti come dimostrano le storie che abbiamo raccolto di due adolescenti ticinesi (Martina e Sergio). Loro hanno abbandonato le medie. Un tema che ha ispirato l’ultimo romanzo dell’educatore Matteo Beltrami.

La storia di Martina

Scatti di nudo rubati fanno il giro della scuola

Martina ha fatto un errore, quando aveva 13 anni si è fidata della persona sbagliata. Uno sbaglio che ha pagato a caro prezzo. Non è più riuscita a mettere piede in una scuola. È scomparsa dai registri di classe, diventando invisibile. Eppure era una brava studentessa. A 8 anni di distanza si vergogna non poco a parlarne. La incontro a Locarno: «Ero in terza media quando ho conosciuto un ragazzo, allora ero presa da lui». Cappellino in testa, niente trucco, minuta, tutta vestita di nero. Il suo sguardo è vivace. La voce diventa un sussurro quando mi racconta degli scatti di nudo, dove si vedeva anche il suo volto. Li ha inviati a questo ragazzo. Lui a un amico. Quest’ultimo a tutta la scuola. Sono finiti anche su Facebook. «A scuola, tutti ridevano alle mie spalle, una mia amica mi ha insultata e pure schiaffeggiata. Ricevevo pesanti insulti anche da adulti su Facebook». Da subito viene isolata dai compagni. «Nessuno voleva stare con me, si vergognavano a girare in mia compagnia». Sua madre la sostiene come può. «Mi ha abbracciata, dicendomi di provare ad andare a scuola». Martina lo fa ma la vergogna la spezza, frantumando la gioia della sua età, facendola sentire piccolina e sbagliata. «Parlavano tutti alle mie spalle e mi evitavano. Cambiare sede non averebbe cambiato nulla». Quelle foto – mi dice abbassando lo sguardo – avevano ormai fatto il giro del Ticino. Martina lascia la scuola, era in terza media.«La maestra di classe ha provato a sostenermi. Io volevo solo scomparire: dalla brava ragazza ero diventata una poco di buono». Chi è scomparso per davvero era il suo ex. «Dopo un anno mi ha inviato una lettera di scuse. Era firmata da lui e dal suo amico. Penso che la scuola li abbia convinti a farlo».

‘Mi tagliavo ed ero sempre triste’

Uno scatto e la traiettoria della sua vita è cambiata. Inizia un percorso molto difficile, un tempo sospeso, dove ogni giornata è uguale all’altra: «Di giorno stavo rintanata in casa, dormivo, stavo al computer, ascoltavo musica e la sera uscivo con persone più adulte, li trovavo al parco, già tutti mezzi ubriachi, si beveva e fumavamo canne». Anche la sua passione, il calcio, non lo frequentava più con assiduità. «Ero sempre triste. Stavo con persone sballate, mai sobrie, almeno non mi giudicavano». Martina si isola in una bolla di rabbia, erige una barriera tra lei e il mondo. Sua madre la sentiva rientrare spesso alle 4 del mattino, c’erano discussioni. Sul suo corpo ci sono le cicatrici di quel periodo nero: «Mi tagliavo le braccia, stavo meglio e poi mi sentivo in colpa».

Il terrore di mettere piede a scuola

Avendo lasciato la scuola, i servizi sociali si attivano. Una mattina la prelevano da casa e la portano all’istituto Torriani a Mendrisio. «Non avevo scelta, ho dovuto fare le valige e seguirli, mentre mia mamma piangeva». Resta qualche tempo in osservazione, poi viene spostata (ormai 16enne) al centro residenziale educativo Ithaka gestito dalla Fondazione ‘il Gabbiano’. «I primi mesi non collaboravo e insultavo tutti, mi tagliavo, tentavo di scappare, ma non sapevo dove andare perché avevo litigato anche con mia madre». Piano, piano si adatta alla nuova vita comunitaria ritmata da varie attività come il lavoro in vigna, la pulizia della camera, il bucato, i turni in cucina. «Sono diventata più responsabile. Ho provato a tornare a scuola per finire la 4a media, ma avevo il terrore di metterci piede. Non ce l’ho fatta».

Negli anni viene seguita da una terapeuta – che oggi definisce sua amica – che è riuscita ad agganciare Martina, con varie attività, aiutandola così a risalire dall’abisso dove era stata risucchiata. «Ero molto arrabbiata con me stessa, con gli altri, ho fatto una cavolata che potevo evitare e mi sono rovinata la vita». Quando rientra in famiglia (ormai 17enne) inizia a lavorare part-time nell’attività dei genitori. Cerca di riprendere il filo della sua vita.

La svolta grazie alle persone giuste

La svolta arriva dopo un lungo e faticoso percorso. Anche grazie all’influenza positiva del suo attuale partner, Martina riprende fiducia in se stessa, negli altri e inizia un percorso formativo. «Lui si prende cura di me. Non bevo più, quando sono triste piango e mi sfogo, ho fatto la patente di guida e mi sto formando come impiegata nella ristorazione», dice con orgoglio. Con sua madre va meglio: «Mi spiace averla fatta soffrire tanto. Ho capito che si può sempre rialzarsi, soprattutto se incontri le persone giuste». Prima di andarsene, le chiedo perché si è tatuata un cagnolino. «Ne avevo uno, si chiamava Ganesha e mi è stato vicino quando stavo male». Come la divinità induista con la testa d’elefante, simboleggia l’equilibrio; nella sua danza, si fanno tre passi avanti e uno indietro. Si avanza lentamente, ma si avanza.

La testimonianza di Sergio, 16 anni

Lascia la scuola per le botte di suo ‘patrigno’

«A casa avevo un botto di problemi, ma davvero tanti», sbotta Sergio, 16 anni (nome noto alla redazione). Ci incontriamo a Bellinzona con l’educatore che lo segue da qualche anno. Tra i due c’è rispetto e un legame franco. In terza media, Sergio inizia a saltare la scuola e poi non ci va più del tutto. La situazione in famiglia è tesa. «Volevo restare a casa per proteggere mia madre ed i miei fratelli», dice con una voce dura e ferma. È un adolescente che ha dovuto crescere in fretta, per la sua età ne ha già viste tante. L’ex compagno della madre era un uomo molto violento, lo ha cresciuto a botte.

‘Non mi faccio più mettere i piedi in testa’

Sergio voleva risparmiarle ai suoi fratelli. «Volevo difendere la mia famiglia da quell’uomo», dice svapando da una sigaretta elettronica. Mi spiega che sta cercando di smettere di fumare. Anche a scuola la situazione non va molto bene. «C’erano alcuni docenti che se la prendevano sempre con me», precisa. La violenza domestica sommata all’ambiente scolastico che l’adolescente vive come ostile, sono davvero troppo. Purtroppo spesso la violenza subita diventa violenza agita. Inizia un periodo molto travagliato. «Stavo fuori con altri ragazzi. Ero ubriaco quasi ogni sera, più di una volta ho rischiato il coma etilico. Non mi importava più di nulla». Questo succedeva all’età di 14 anni. Dentro questo ragazzo c’era tanta rabbia, accumulata in anni di violenza. Lui ce lo conferma. «Sono irascibile, di certo non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno».

La porta della classe rimane aperta

Nemmeno per la rete di sostegno e il suo educatore (non mettiamo il nome per tutelare l’identità del ragazzo) è stato facile, ma nessuno si è mai arreso. «Sergio aveva spesso scatti d’ira incontrollati, non si presentava a scuola per settimane, la porta della classe però, era sempre aperta. L’ho conosciuto all’inizio della terza media, mi ha colpito il suo bisogno di raccontarsi, di dar voce a ciò che aveva dentro». La segnalazione viene fatta da due docenti, quella di sostegno pedagogico e quella di classe. «Abbiamo lavorato insieme per Sergio. Loro gli hanno sempre dimostrato vicinanza, pazienza e accoglienza nella sua classe». Alti e bassi erano la norma. «Andavo più volte la settimana a prenderlo a casa, facevamo colazione insieme, volevo iniziasse la giornata con uno scambio amichevole, poi lo accompagnavo a scuola», racconta l’educatore. Sergio annuisce. Poi i conflitti con docenti e compagni degenerano e Sergio abbandona la scuola. Era in 4a media. "Lo raggiungevo in giro a orari variabili. Stava andando alla deriva. Ci siamo scontrati ma non abbiamo mai smesso di parlarci, le cose poi si appianavano". Nella fase più acuta Sergio è stato inserito in un progetto di accoglienza diurna, dove poteva imparare diverse nozioni professionali (muratura, giardinaggio, pittura, falegnameria...). "Ci andava volentieri".

‘Ero abituato a prendere pugni e calci, lui invece mi ascoltava ed era gentile’

Poi c’è stato un colpo di fortuna, perché anche quella serve. La rete attorno all’adolescente si è rafforzata grazie a una nuova figura maschile che l’ha aiutato a uscire dall’abisso in cui era caduto: il nuovo compagno della madre. «Ero abituato a prendere pugni e calci. Lui mi ascoltava, mi parlava gentilmente, mi abbracciava», dice Sergio addolcendosi, appena un pochino. Quest’uomo è riuscito con dolcezza e pazienza ad agganciare Sergio, a conquistarne la fiducia, superando le solide difese costruite per non farsi più ferire. Lo ha aiutato a trovare un nuovo scopo, un lavoro. Sergio fa la sua parte, ha iniziato l’apprendistato ed è sempre in contatto con il suo educatore.

L’educatore saggista

Come agganciare questi adolescenti alla deriva

Quando un giovane si sgancia e scompare dai registri scolastici, c’è chi tenta di raggiungerlo in uno spazio sospeso, non c’è una ricetta che funziona per tutti. Rialzarsi dipende spesso da chi si incrocia sul proprio cammino. Nel suo ultimo libro, Matteo Beltrami, racconta di una ragazzina scomparsa da Locarno, chi la cerca dovrà andare oltre le proprie logiche per ritrovarla. Un romanzo di fantasia che si ispira alla sua professione di educatore di scuola media. «Spesso si riescono a raggiungere questi giovani, in un territorio non misurabile, fatto di intese inspiegabili, storie di vita in comune e relazioni d’aiuto che diventano legami».

Perché tanti ragazzi scompaiono dai registri scolastici?

Le ragioni dell’assenteismo e dell’abbandono dei percorsi formativi possono essere tante e molto personali. Alcuni ragazzi non vanno più a scuola perché sono preoccupati per un loro familiare e preferiscono rimanere a casa, responsabilizzandosi. Altri hanno conflitti con docenti o compagni, altri ancora non riescono più a vedere il senso del tanto impegno richiesto e cedono. Vivono realtà diverse rispetto alla maggioranza dei compagni, sono alle prese con sfide logoranti o seri problemi familiari. Negli anni mi sono fatto l’idea che la scuola abbia l’onere e il merito di insegnare, fra le altre cose, anche a muoversi e funzionare nel mondo. Per alcuni è come se si creasse un vuoto, una spaccatura troppo ampia fra quello che stanno vivendo e ciò che l’istituzione chiede loro di diventare.

È un malessere che ha visto crescere negli anni?

Non ne sono certo, ma il timore di vedere un/una giovane sganciarsi da ogni percorso formativo mi sembra più percepibile rispetto al passato. Questo ci racconta qualcosa d’importante sulla comunità. Oggi è più complesso, per un adolescente in crisi, trovare motivazione e forza per mantenere il passo, al ritmo di ciò che lo circonda. Lo è anche per molti genitori e adulti. Chi ne è toccato dovrebbe poter riconquistare il tempo per occuparsene, ma non è semplice.

Riagganciarli è (sempre) fattibile?

Lo è anche se non sempre nelle tempistiche auspicate. Credo sia innanzitutto necessario raggiungerli nella loro ‘terra di mezzo’, nella quale sono caduti o incastrati. Come educatore di scuola media propongo attività concrete, in alternativa al rimanere a casa o girovagare per la città. Sono pretesti per rinforzare l’aggancio e dare spazio di parola. Ci sono poi progetti, servizi o associazioni che accompagnano i giovani, li aiutano a raggiungere tappe importanti, come recuperare la licenza di scuola media, che alcuni non riescono a ottenere alla fine della scuola dell’obbligo, o trovare un apprendistato adatto. Non esistono manuali, sono processi intimi che richiedono tempo, ogni percorso è unico. A volte le figure centrali non sono nemmeno professionisti, ma amici di famiglia, parenti, datori di lavoro che riescono a instaurare la fiducia necessaria nel momento giusto.

Qualche consiglio ai genitori? Ai politici?

Credo sia importante coltivare e garantire momenti di ascolto privilegiato che possano esulare dal giudizio o dalla pretesa di prestazione. Questi momenti favoriscono il racconto di sé, che a sua volta da voce e senso a ciò che capita o è successo in passato. È importante che la famiglia collabori e si lasci sostenere dagli operatori scolastici e dai docenti. In futuro, penso diventerà necessario avere piccoli centri educativi diurni sparsi sul territorio, che possano collaborare con la scuola, la comunità e le famiglie per coinvolgere, stimolare e mantenere agganciati i giovani che tendono a ritirarsi dalla società: coloro che non seguono più le lezioni e non hanno un apprendistato. Sarebbe opportuno incentivare anche il sostegno domiciliare, aiutando le famiglie di questi giovani, a loro volta affaticate, scongiurando così il più possibile anche il rischio di un collocamento.

La sua professione ha ispirato il suo ultimo libro ‘Cercate Fatima Ribeiro’?

È un racconto di fantasia, ma la trama può essere una metafora della relazione (o della sua ricerca) fra il mondo degli adulti e quello dei giovani ‘sganciati’. Chi, nel romanzo, si mette sulle tracce di Fatima – una ragazzina dall’esistenza scombinata che è scomparsa da Locarno – sono adulti che vivono epoche altrettanto scombussolate. Per ritrovare Fatima dovranno sganciarsi da tutto, come è capitato a lei, andando oltre i confini delle proprie logiche. È così che spesso si riescono a raggiungere questi giovani, in un territorio non misurabile, fatto di intese inspiegabili, storie di vita in comune e relazioni d’aiuto che diventano legami. A volte è necessario spegnere l’interruttore del funzionamento per vedere e ascoltare meglio cosa sta capitando.