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Le ragioni etiche di lockdown e vaccinazioni

Non ci sono i presupposti per l’obbligo di vaccinarsi, meglio prevedere incentivi economici, spiega il filosofo Julian Savulescu, ospite della Supsi,

In diversi Paesi chi si vaccina può vincere somme in denaro o ha diritto a una birra gratis

Non ci sono i presupposti per l’obbligo di vaccinarsi, meglio prevedere incentivi economici, spiega il filosofo Julian Savulescu, ospite della Supsi,

29 maggio 2021
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«La causa dei morti di questa pandemia è da ricercare tanto in noi esseri umani e nelle nostre scelte che in un agente patogeno». Il filosofo Julian Savulescu, direttore del centro Uehiro di etica pratica all'Università di Oxford, è noto nell’ambiente per le sue tesi controverse, dalla legalizzazione del doping nello sport alla moralità della vendita di organi. Tesi sempre solidamente argomentate, perché gli argomenti sono alla base dell’etica, come Savulescu ha avuto modo di ribadire durante una conferenza  tenutasi online nei giorni scorsi con gli studenti e le studentesse del corso in cure infermieristiche della Supsi. «In fisica per comprendere come si muoverà un corpo, occorre sommare le forze che agiscono, in direzioni e con intensità diversi, su di esso; l’etica è come la fisica, ma invece di forze abbiamo ragioni come l’autonomia individuale, la giustizia distributiva, il bene della collettività: queste ragioni, in situazioni diverse, possono avere intensità diverse».

Ma spesso nelle discussioni pubbliche questa varietà di ragioni viene a mancare. È il caso della pandemia di Covid-19 che ha spesso presentato un dibattito etico non all’altezza dei dilemmi di etica pratica e pubblica portati dalla pandemia, dall’allocazione delle risorse sanitarie, inclusi i vaccini, alla legittimità delle restrizioni.

‘Non sono un utilitarista’

Gli argomenti che Savulescu porta a sostegno delle sue tesi sono spesso riconducibili all’utilitarismo, teoria etica che valuta la moralità di un’azione in base alle sue conseguenze, ponendo come fine il benessere delle persone (o più in generale degli esseri sensibili). Così – leggiamo in un articolo che Savulescu ha pubblicato con Ingmar Persson e Dominic Wilkinson (‘Utilitarianism and the pandemic’ in Bioethics. 2020;34:620–632) – il lockdown va valutato non semplicemente per il numero di vite salvate, ma per i vantaggi e gli svantaggi complessivi che porta alla società (e l’età delle persone salvate conta); allo stesso tempo, per quanto riguarda il tracciamento dei contatti e l’isolamento dei possibili infetti, il benessere della popolazione conta più di diritti e libertà individuali.

Argomenti che Savulescu, tornando alla metafora delle forze che agiscono su un corpo, non intende come gli unici validi. «Esatto, non sono un utilitarista» ci spiega dopo la conferenza. «Il benessere è ciò che gli utilitaristi vogliono massimizzare, ma è solo una delle possibili ragioni: la libertà e l’uguaglianza sono altre ragioni. La pandemia ha portato un conflitto tra queste tre ragioni, tra il benessere, l’uguaglianza e la libertà e tutto dipende dalla forza che questa ragioni hanno nelle varie circostanze».

L’utilitarismo riveste comunque un ruolo importante, per Savulescu: «Quando devo affrontare un problema, inizio sempre con il chiedermi cosa ha da dire l’utilitarismo perché se si decide di non seguire la soluzione che porta al maggior benessere totale, vuol dire che per qualcuno la situazione peggiora, che qualcuno muore, soffre o subisce un danno. Magari ne vale la pena: è un ragionamento che facciamo spesso per noi stessi, assumendoci dei rischi. Ma quando ne va della vita degli altri, dobbiamo essere pronti a giustificare queste scelte».

Se non è un utilitarista, come si definisce? «Sono un consequenzialista libertario» risponde Savulescu. «Penso che ci siano due valori che sono importanti: la libertà, o meglio l’autonomia, e il benessere. Questi due valori possono ovviamente entrare in conflitto, ma dobbiamo cercare di tenerli in equilibrio. Il che non vuol dire necessariamente massimizzarli, come individui abbiamo il dovere del soccorso ragionevole (easy rescue duty): se il mio costo, in termini di libertà, è piccolo e il beneficio, in termini di benessere, per un altro è grande, devo aiutarlo. Il fatto che non sia un utilitarista lo dimostra il fatto che ho due reni: se fossi davvero un utilitarista dovrei donarne uno a chi ne ha bisogno, perché il suo beneficio è superiore al mio danno; credo invece che debba donare il sangue, perché per me il costo è piccolo».

Pregiudizi morali e biopotenziamento

Spesso però ci affidiamo alle nostre intuizioni morali, non necessariamente collegate a una teoria etica coerente. Quale il loro ruolo? «Su questo tema seguo il filosofo americano John Rawls che ha sviluppato una prassi chiamata equilibrio riflessivo. Da una parte facciamo l’elenco di teorie, principi, concetti; dall’altra l’elenco delle intuizioni. Dobbiamo escludere le intuizioni che sono chiaramente frutto di pregiudizi, ma una volta “pulita” questa lista, dobbiamo cercare la massima coerenza tra teorie e intuizioni, cercando appunto un equlibrio».

Nella sua rielaborazione di Rawls, Savulescu fa riferimento al ‘Moral machine experiment’, uno studio condotto dall’Mit che ha raccolto le scelte morali di milioni di persone in tutto il mondo. «Possiamo usare queste decisioni insieme alle teorie per cercare un equilibrio, ma non possiamo fare puramente affidamento alle nostre intuizioni perché alcune sono chiaramente sbagliate. E non possiamo neanche fare affidamento esclusivamente sulle teorie etiche che non sono definitive ma vanno continuamente nigliorate».

Il tema delle intuizioni morali ci porta a uno degli argomenti affrontati durante la conferenza organizzata dalla Supsi: il biopotenziamento morale, sul quale Savulescu ha scritto, con Persson, il libro ‘Inadatti al futuro’ (Rosenberg & Sellier 2019). Le nostre intuizioni morali sono infatti legate a schemi mentali nati quando l’umanità era formata da piccoli gruppi in competizione tra loro per risorse immediatamente disponibili, il che spiega nazionalismo, xenofobia, sottovalutazione degli eventi che non accadranno in un futuro prossimo. «La nostra capacità di ragionare eticamente è limitata, come del resto abbiamo dei limiti cognitivi nel mantenere l’attenzione o nel ricordare eventi. È parte della nostra natura». Così, come capita di bere un caffè per mantenere l’attenzione nonostante la stanchezza, dovremmo valutare la possibilità di assumere qualche sostanza per migliorare le nostre capacità morali. «Possiamo anche leggere un buon libro che apra verso l’empatia per persone non appartenenti al nostro gruppo, ma anche intervenire direttamente sul cervello e quello che sostengo è che dobbiamo prendere in considerazione l’ipotesi che simili soluzioni possano essere di aiuto».

Vaccinarsi: un lavoro per la comunità. Che va pagato

Tornando all’utilitarismo e alla pandemia: dare la priorità alla salute e al benessere a discapito di privacy e libertà personali non rischia di essere controproducente nel lungo periodo, di portare, conclusa l’emergenza sanitaria, a una minore felicità? «È un tema importante: un problema dell’utilitarismo è proprio la difficoltà di prevedere la migliore linea d’azione per un lungo periodo di tempo. Ci sono quindi ragioni utilitariste per difendere privacy e libertà ma, come detto, io non sono un utilitarista e credo che la libertà sia un valore di per sé, al di là del fatto che porti a una maggiore felicità complessiva».

È seguendo questo approccio che Savulescu ha espresso delle perplessità sull’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19: se in altri casi l’obbligatorietà è eticamente sostenibile, per il coronavirus il pericolo, soprattutto per alcune fasce della popolazione, è ridotto e trattandosi di nuovi medicamenti manca una generale accettazione da parte della popolazione (al contrario ad esempio dei vaccini per l’influenza). Dovremmo quindi prendere in considerazione un sistema di incentivi, incluso il pagamento per chi decide di farsi vaccinare.

Se per una persona giovane e sana il beneficio diretto rappresentato dal vaccino è inferiore al tempo dedicato e ai possibili effetti avversi anche leggeri, dovremmo considerare la vaccinazione come un lavoro per la comunità e come tale da compensare economicamente. Ci vuole una certa cautela per evitare che il pagamento non porti ad esempio a sottovalutare i rischi o diventi una forma di sfruttamento, ma c’è anche un’obiezione più radicale. Riprendendo gli argomenti portati dal filosofo Michael Sandel in ‘Quello che i soldi non possono comprare’ (Feltrinelli 2013), introdurre una remunerazione cambia le regole del gioco: non abbiamo più a che fare con il dovere e la solidarietà, ma con una prestazione economica che, come tutte le prestazioni, viene valutata in base alla propria convenienza personale e potrebbe non interessare persone invece disposte a fare il proprio dovere.

Savulescu ha diverse obiezioni alla teoria di Sandel. La più importante, qui, è che «il pagamento, come del resto anche l’obbligatorietà, non impedisce alle persone di agire per senso del dovere o in maniera altruistica: se tu fai il vaccino per ricevere dei soldi o rispetti i limiti di velocità per evitare una multa non agisci moralmente, siamo d’accordo; ma se lo fai perché secondo te è giusto, il fatto che siano previsti una multa o un pagamento non ti impediscono di agire moralmente. È un grosso errore pensare che un incentivo escluda l’altruismo e il comportamento morale».

Gli incentivi per la vaccinazione non si limitano poi a somme di denaro ma possono anche includere benefici come poter partecipare a eventi senza doversi sottoporre a test o non dover indossare la mascherina. Il Covid pass va appunto in questa direzione, con il rischio che a quel punto le restrizioni sanitarie vengano percepite come punizioni per chi non si vaccina. E che le autorità, per convincere le persone a vaccinarsi, siano tentate di mantenere a lungo certe restrizioni. «È effettivamente un rischio e dobbiamo sempre chiederci se le restrizioni sono proporzionate: non possiamo semplicemente assumere che siccome ci saranno dei morti allora sia giustificato limitare le libertà personali. Faccio un esempio. Qui a Melbourne ci sono stati venti casi di Covid e siamo tornati in lockdown. Ma le persone a rischio hanno avuto la possibilità di vaccinarsi: i morti giustificano ancora le restrizioni, se è stata una loro scelta non vaccinarsi? Ovviamente il discorso è più complicato, perché ci sono persone che non possono essere vaccinate e casi in cui il vaccino non è efficace ma il principio rimane: se i vaccini sono disponibili per tutti, la responsabilità è di chi decide di non vaccinarsi, non delle altre persone».