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L’eterna battaglia dell’Afghanistan

I talebani avanzano e si moltiplicano le milizie che provano ad arginarli: ‘Vogliamo solo dialogare con loro e costruire un nuovo Paese’

Un talebano a protezione di un villaggio (Filippo Rossi)

I talebani avanzano e si moltiplicano le milizie che provano ad arginarli: ‘Vogliamo solo dialogare con loro e costruire un nuovo Paese’

7 luglio 2021
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“Siamo pronti alla pace. Ma che sia equa. Non vogliamo che i talebani ci impongano i loro valori, altrimenti continueremo a combattere” esclama il comandante Jalal, 54 anni, capo di una milizia popolare nel villaggio di Khinjan, situato nella provincia di Baghlan. “I servizi segreti (Nds) ci pagano e ci forniscono le armi. L’esercito non riesce a difendersi da solo”. “Il governo – commenta ironicamente – è come il marito di una moglie che lo tradisce. Quando scopre l’amante in casa propria, invece di sfidarlo, chiama i vicini in soccorso”. Jalal è un uomo duro. Impugna un fucile sin da quando aveva 16 anni. Allora erano i russi il nemico. Ora i talebani. Nel 2004, un bombardamento Nato sulla sua casa, ha assassinato 26 membri della sua famiglia. “La gente ha bisogno di sicurezza. Il governo non esiste. Ma non appena tutto sarà finito, riconsegneremo le armi”.

Il comandante Jalal e la sua milizia sono l’immagine della debolezza del governo. Di gruppi armati come questo, oggi, l’Afghanistan ne è pieno. Oltre ai servizi segreti, sono politici di spicco che li armano o danno loro vantaggi per proteggere il proprio potere. Un segreto noto a tutti. Spesso, sono Paesi stranieri della regione (Pakistan, Russia, India, Iran e Cina) a dare loro i mezzi. Un nuovo “Grande gioco”, portato avanti da decine di attori. “Il presidente Ashraf Ghani ad esempio – tuona Rahmatullah Nabil, ex direttore dell’Nds – ha dato vantaggi enormi a signori della guerra per i suoi interessi. È molto pericoloso. A lui, come a questo governo, non interessa per nulla la volontà della gente”.

Occhio per occhio

Oggi l’Afghanistan vive un caotico intreccio di guerre per procura, assassinii mirati e attentati sanguinari giornalieri. Un tutti contro tutti, in un momento delicato caratterizzato dal ritiro delle truppe Nato (quasi completato) previsto per l’11 settembre – che doveva essere il primo maggio secondo l’accordo firmato da Trump con i talebani a Doha nel febbraio 2020 – e da un’escalation di violenza fra talebani ed esercito governativo che mettono per ora in secondo piano un’attesa conferenza sulla pace afghana prevista a Istanbul, e che potrebbe risultare in un accordo storico fra governo afghano e talebani per un cessate il fuoco totale e la formazione di un nuovo governo di transizione.

Mujaheddin talebani, miliziani e soldati dell’esercito, in prima linea, sono le vere vittime, insieme ai civili, di questa guerra infinita. Muoiono cercando di difendere la propria visione, esprimendo però una volontà di pace, di fratellanza. La voglia di sedersi allo stesso tavolo. “I talebani sono nostri fratelli, vivono di fianco a noi”, dice Bismillah Rasuli, 42enne, miliziano agli ordini di Jalal: “Ma sono un gruppo violento. Dobbiamo combatterli. Tuttavia, vivere in guerra è duro. Se la pace arriverà dimenticheremo tutto e costruiremo insieme un nuovo Afghanistan”.

Bismillah teme per la partenza delle truppe straniere. La maggioranza della popolazione, però, sembra chiederne il ritiro a gran voce, considerandoli la principale causa di tutti i mali. Nelle province soprattutto, i raid notturni perpetrati contro civili innocenti durante gli anni hanno cancellato ogni barlume di fiducia nei loro confronti. Oggi la Nato è vista come il principale nemico. “Una notte, i soldati del governo e gli stranieri hanno bombardato il villaggio. Poi hanno attaccato, uccidendo 8 persone innocenti. Studenti, ingegneri, professori” tuona Janatmir Shahid Khil, abitante di un villaggio della provincia di Wardak, alle pendici di cime spolverate di bianco dell’Hindu Kush. “Abbiamo educato i nostri figli a combattere le forze straniere. Quando se ne andranno saremo molto felici. E se non lo faranno prenderemo le armi anche noi, anche se la pace è più importante”.

‘Abbiamo cresciuto i nostri figli a combattere le forze straniere. Quando se ne andranno saremo molto felici’

Gli attacchi notturni, che hanno fatto innumerevoli morti fra civili innocenti, sono pratiche ideate dalla Nato, maggiore causa di vittime durante quasi 20 anni di guerra. In balia di un governo corrotto che predilige milizie private e forze straniere, l’esercito governativo fatica a tenere le città e le principali arterie stradali.

Anche i talebani, sebbene più forti, presentano al loro interno divisioni. Se il gruppo di Doha, principale fazione sotto il comando del mullah Haibatullah Akhunzada, negozia con Nato e Amministrazione di Kabul, come i talebani chiamano il governo afghano – nell’Ovest del Paese, una fazione secessionista si definisce “il vero Emirato islamico dell’Afghanistan (Eia), i veri talebani” secondo le parole del suo leader, il mullah Manan Niazi.

Il mullah Manan

“I talebani che negoziano a Doha sono delle marionette del Pakistan. Non rappresentano la popolazione afghana” – tuona Manan, seduto a gambe incrociate in cima a una montagna appena fuori la città di Herat. Posato di fronte, un fucile italiano ottenuto durante un combattimento. Attorno i suoi mujaheddin, che ascoltano in silenzio il suo discorso, intercalato a volte da un euforico “Takbir!”, “Allahu Akbar!”. “Noi siamo per la pace. Abbiamo sconfitto l’invasore straniero. Qui sono caduti tutti i più grandi eserciti. Ma senza di noi, non ci potrà essere pace. I talebani dell’altra fazione sono vittime di altri Paesi, pagati da infedeli come Pakistan, Russia, Cina e Iran per uccidere altri musulmani. Ecco perché ho deciso di separarmi da loro nel 2015. Non vogliono la pace – dichiara concitato –. Un vero talebano serve l’umanità, la protegge e implementa le leggi di Dio”.

Il mullah Manan, all’epoca vicino al mullah Omar, controlla oggi diverse aree delle province occidentali del Paese, con migliaia di seguaci. Dopo il suo discorso, si riposa insieme alla sua leadership, in un casolare di fango con un panorama mozzafiato, sovrastato da bandiere bianche. Un anziano canta un nasheed (canzone religiosa): “Afghanistan, tomba degli imperi”. Parla proprio di quanto la fierezza afghana sia stata forgiata anche sul fatto di aver messo in ginocchio gli eserciti più potenti al mondo. “Abbiamo sconfitto Alessandro Magno, gli inglesi, i russi e ora la Nato. Siamo i più forti”.

Il mullah dice di combattere per un Afghanistan unito: “Se non ci saranno interessi stranieri, l’occupazione cesserà e si instaurerà uno Stato islamico, allora gli afghani saranno capaci di unirsi come fratelli e di costruire un nuovo Paese”.

‘Abbiamo sconfitto Alessandro Magno, gli inglesi, i russi e ora la Nato. Siamo più forti’

La notte i fucili sparano, i mortai tuonano. La guerra imperversa su tutti i fronti. Il suo gruppo combatte contro Nato, esercito governativo, talebani della fazione di Doha e anche mercenari iraniani, che, a dir loro, cercherebbero di penetrare nel territorio ogni notte. Conoscono le loro aree perfettamente. Un colpo riecheggia nell’aria. Dalla valle, i mujaheddin sono già tutti in cima alle montagne.

Tutti sconfitti

Rajan, 25 anni, ha deciso di seguire Manan in combattimento: “Il pericolo più grande proviene dall’occupazione Nato e dai talebani infedeli. Loro non vogliono la pace. Dobbiamo combatterli per proteggere la popolazione e l’Afghanistan”, dice scendendo dalla montagna verso il tramonto: “Credo nella pace. Spero che nessuna madre debba piangere un figlio e che nessun figlio debba perdere una madre”.

Se politici e governo assoldano milizie private, oggi attive per contenere i talebani, mostrando diffidenza per un’eventuale pace, i talebani riconquistano ogni giorno distretti strategici umiliando l’esercito governativo mentre la Nato mette fine a un’occupazione ventennale. Un’amara sconfitta. In mezzo secessionisti e signori della guerra, senza calcolare i gruppi estremisti come lo Stato Islamico, sono più che mai attivi, complicando ancor di più lo scacchiere che ha tutte le carte in regola per esplodere e far cadere il Paese in una nuova guerra civile.

La ritirata della Nato

Una pace sempre più lontana

Da quando il presidente Joe Biden ha annunciato in aprile il ritiro completo delle truppe Nato ancora presenti in Afghanistan entro l’11 settembre, le cose sono precipitate. La dichiarazione di Washington ha pregiudicato l’accordo storico firmato nel febbraio 2020 fra Trump e i talebani secondo cui la fine dell’occupazione era prevista per il primo maggio scorso. Il portavoce talebano Mohammed Naim aveva minacciato di riprendere le ostilità in caso contrario. E così è stato.

Sebbene americani e alleati abbiano già quasi completato le operazioni di smantellamento con due mesi d’anticipo, mettendo fine all’occupazione occidentale, il Paese ha visto un’escalation nel conflitto, con i talebani che ogni giorno guadagnano terreno. Sebbene ci siano indiscrezioni di negoziati fra le due parti per evitare un ulteriore bagno di sangue, pare che i talebani vogliano sedersi al tavolo della pace con il coltello dalla parte del manico, mettendo alle strette il governo sostenuto dalla comunità internazionale.

Al centro dell’attenzione vi è poi sempre una conferenza di pace, fortemente voluta dagli Stati Uniti, che avrebbe dovuto essere organizzata a Istanbul a maggio. Con gli ultimi sviluppi però, difficilmente avverrà prima dell’autunno. Una conferenza dalla quale potrebbe derivare uno storico accordo fra talebani e governo afghano per la creazione di un governo di transizione e un cessate il fuoco totale. Tuttavia, secondo Rahmatullah Nabil, ex direttore dei servizi segreti afghani (Nds), ciò “permetterebbe alla Nato e agli Usa di uscire degnamente da una sconfitta, per incolpare poi gli afghani di un nuovo conflitto”.

Il nuovo "Grande gioco"

Le conseguenze dell’inasprimento attuale e di un eventuale accordo di pace, sostanzialmente imposto dalla comunità internazionale, potrebbero essere nefaste in un contesto di forte divisione e interessi geopolitici: “Finora molti attori della regione come India, Cina, Russia e Iran, sono sempre stati esclusi dai negoziati guidati da Usa, Pakistan e talebani. La loro diffidenza li ha spinti a sostenere politici del governo che hanno armato milizie per difendere i propri interessi”, continua Nabil. Questi stessi miliziani sostenuti dal governo si stanno infatti preparando a entrare nel vivo della scena, seminando ancora più panico in una popolazione che assiste alla propria rovina senza avere voce in capitolo. “Gli interlocutori afghani della comunità internazionale sono i talebani, il governo e i signori della guerra ex mujaheddin. Tuttavia, una stragrande maggioranza nel Paese non si riconosce più in questi schemi” spiega Nabil.

‘Questo governo è stato votato da un milione di persone su 34’

Alcuni membri della società civile hanno quindi creato un nuovo partito chiamato Afghan Salvation Mouvement, per “rappresentare la popolazione”, come sostiene Ghulam Farouq Wardak, ex ministro e uno dei principali creatori della Costituzione afghana del 2004. “Creiamo una nuova generazione. Questo governo, sostenuto dagli stranieri, è corrotto e arma milizie. È stato votato da un milione di persone su 34. All’inizio pensavamo che l’invasione Nato portasse pace e ricostruzione. Ma sono venuti solo per uccidere. È tempo che partano”.

Nabil aveva parlato di tre possibili scenari dopo una conferenza di pace, fra i quali due contemplavano una guerra civile e addirittura la balcanizzazione del Paese. E ora, sembra che le condizioni per un nuovo scontro ci siano tutte. “La soluzione è lasciare gli afghani a risolvere i problemi fra loro. Ma alla comunità internazionale non interessa”. Gli afghani sono di nuovo soli a combattere per vedere la fine di decenni di guerra.