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Se la cura provoca più danni della malattia

Trovo che sia tempo di calare il sipario sul certificato Covid. Ora esistono le cure, il virus si conosce, finiamola con l’allarme costante e l’alternarsi dei provvedimenti che nessuno ascolta più. Torniamo a vivere normalmente: disinfettante e mascherine potranno essere usati da chi sente l’esigenza di proteggersi. Chi vuole vaccinarsi, si vaccini; chi vuole stare a distanza, è libero di scegliere. Le persone a rischio sono una minoranza e hanno tutto il diritto di essere prudenti e di salvaguardarsi. Ma la socialità, il benessere psicologico e l’economia hanno già pagato un prezzo fin troppo alto e continuare così non ha alcun senso. Lockdown e didattica a distanza hanno causato problemi psicologici e sociali nei soggetti fragili, molte attività che erano già in bilico hanno dovuto chiudere: si rischia che la cura faccia più danni della malattia. La tanto agognata immunità di gregge è vicina e si spera che l’abitudine di dare un nome a ogni influenza vada a morire: è fondamentale evitare che l’ansia prenda il sopravvento sulla ragionevolezza. Un conto è proteggersi, mentre altra cosa è vivere in preda alla paura o creare fazioni antagoniste. In questo senso la Svizzera ha avuto il pregio di non cadere nella psicosi collettiva che ha travolto altri Paesi europei e mi auguro che continui a sostenere il mantenimento del rispetto reciproco, così come a difendere le minoranze e le diversità senza incappare nell’errore di imporre l’obbligo vaccinale. Il vaccino non si è rivelato efficace come ci si aspettava e la gente è stanca di direttive che cambiano in continuazione e di iniezioni frequenti. Sui media si parla poco delle terapie farmacologiche per affrontare il contagio e ancora meno del doloroso problema delle reazioni avverse e dei danni permanenti da vaccino: per quanto rari, chi li subisce si sente beffato.

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