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Usa guerrafondai?

Un tempo si stigmatizzava la neutralità degli Stati Uniti, escogitata dal presidente Monroe (1758-1831). A torto perché la neutralità si imponeva per consolidare lo Stato di recente costituzione (1776), composto da persone provenienti soprattutto dall’Europa, formanti diverse etnie che conservavano usi, costumi e culture delle rispettive patrie, spesso contrapposte, le quali, logicamente, minavano l’Unità nazionale. Inoltre, occorreva arginare le mire colonialistiche degli Stati europei sul Nuovo Continente. Più tardi questa neutralità, chiamata "dottrina di Monroe", divenne la carta della politica estera degli Stati Uniti.

Questo spiega il loro intervento, provvidenziale, nella Guerra del ’14 solo nel 1917 a seguito, prima, dell’affondamento da parte di un sottomarino tedesco del "Lusitania", transatlantico americano nel quale perirono 1’152 cittadini; poi della scoperta del famoso "telegramma Zimmermann", con il quale i tedeschi promettevano al Messico, se fosse entrato in guerra con loro, di cedergli, a conflitto vinto, gli Stati del Texas, del Nuovo Messico e dell’Arizona. Provvidenziale, perché, a seguito della pace separata di Brest-Litovsk, chiesta ai tedeschi dalla Russia bolscevica, e degli ammutinamenti sul fronte europeo, gli Alleati erano in gravi difficoltà.

Questo spiega anche perché, nella Seconda Guerra Mondiale, per aiutare gli Alleati malgrado la "dottrina Monroe", il presidente Roosevelt, provvidenzialmente, ha fatto capo alla teoria dei cosiddetti "prestiti e noleggi" (dei quali la Russia ha beneficiato al punto che, senza di essi, non ci sarebbe stato Stalingrado, celebrato in pompa magna il 9 maggio di ogni anno). Questo fino al 7 dicembre 1941, ossia fino alla distruzione della loro flotta e delle installazioni a Pearl Harbor da parte del Giappone alleato dei tedeschi. Provvidenzialmente, perché, in quel tempo, i sottomarini tedeschi dominavano l’Atlantico, impedendo così il transito degli aiuti agli Alleati. E non è tutto, perché alla fine del conflitto, il Piano Marshall ha salvato le economie dell’Europa in barba al protezionismo insito nella dottrina Monroe.

Oggi però Putin, pluri-genocida per aver aggredito arbitrariamente l’Ucraina e per come conduce le ostilità, può contare, un po’ ovunque in Occidente, su politici e giornalisti/opinionisti che "lo capiscono", perché, secondo loro, chi approfitterebbe della guerra sarebbero gli americani, mentre gli ucraini la combatterebbero per procura. Una frase pronunciata in un dibattito televisivo che sintetizza tutto quanto dicono e scrivono costoro, mi ha particolarmente indignato: "Gli americani hanno bisogno di guerre per poter dare lavoro alle loro oltre duemilacinquecento spie sparse in tutto il mondo". Questa sconsiderata presa di posizione, grazie alla post-verità, ossia la menzogna eretta a sistema, si diffonde in modo preoccupante tra le popolazioni anche degli Stati neutri, specie tra quelle più bisognose a causa del continuo aumento delle difficoltà e delle restrizioni che derivano dal conflitto a tutto il mondo occidentale. Di conseguenza, per far prevalere la verità, benché nuda e cruda, a nulla serve la distinzione fondamentale tra chi è l’aggressore e chi l’aggredito; la conseguenza logica di un cessate il fuoco unilaterale da parte dell’aggredito, ossia la scomparsa dello Stato ucraino (anche a partire dal 1917, a seguito delle indicibili sofferenze e privazioni, le popolazioni belligeranti reclamavano la "Pace ad ogni costo", ma non era una capitolazione come si pretende dall’Ucraina); il modo con il quale sono condotte le ostilità: l’aggressore, perdente al fronte (la guerra "pulita"), sistematicamente perseguita, tortura e stermina civili, distrugge scuole, ospedali, abitazioni, fabbriche e infrastrutture, deporta bambini ucraini in Russia, costringe la popolazione ad abbandonare in massa la patria e minaccia, di tanto in tanto, di usare la bomba atomica (la guerra genocida). Tutto questo, infatti, costituisce un genocidio continuato, in clamorosa violazione dello statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 dicembre 1998. Certo la Russia non lo ha sottoscritto, ma esso codifica non solo il dritto naturale, universale per definizione, ma anche quello consuetudinario, attestato dalla Russia stessa con il processo di Norimberga (1945-46) contro i criminali tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, perché vi aveva un giudice nel Collegio giudicante e un procuratore in quello accusatore.

E che dire dell’aggredito? Si limita a difendersi sul suo territorio, senza mai procurare, in dieci mesi di combattimento, un graffio a quello dell’avversario e alla sua popolazione, salvo, per caso, una giovane e, recentemente, il danneggiamento degli aeroporti, però militari, di Riazan, Saratov e Koursk, posti a circa 500 chilometri dalla frontiera, benché possieda razzi che possono colpire Mosca più vicina. Quindi un "unicum" che da che mondo è mondo, in una guerra, mai è capitato.

E gli Stati Uniti? Certo, il presidente Trump e, ora, l’irresponsabile rifiuto del Partito repubblicano di metterlo a tacere, hanno ridotto la loro influenza politica nel mondo, ma la loro potenza economica e militare è tuttora intatta e non hanno esitato a metterla al servizio della libertà e della pace. Infatti il loro aiuto militare e umanitario a Kiev, dall’inizio delle ostilità ad oggi, ammonta a 66 miliardi di dollari che saranno prossimamente aumentati a oltre 100 miliardi; inoltre sta aiutando l’Europa a ricostituire i suoi stock militari per compensare la parte fornita all’Ucraina. E facile è immaginare quale sarà il loro contributo nella ricostruzione e la ripopolazione di quest’ultima. Allora spontanea viene la domanda: cosa sarebbe successo in Europa se gli Stati Uniti non fossero intervenuti e cosa succederebbe se cessassero i loro aiuti?

E vengo al dunque: come mai, nonostante tutto questo, certi politici si proclamano democratici, ma, di fatto, sono pro Putin e pretendono che per avere la pace basterebbe sospendere l’aiuto militare all’Ucraina? È semplice: perché ciò permette di adulare il popolo e quindi ottenere un consenso elettorale, senza il quale loro e il loro partito conterebbero poco o nulla. Un esempio per tutti? In Italia Giuseppe Conte e il suo partito 5 Stelle, prima del conflitto, erano destinati a scomparire o quasi; è però bastato opporsi sistematicamente alla fornitura di armi all’Ucraina per destinare quanto si risparmia "ad altro" per guadagnarsi voti dai siciliani, sì da ergere il partito al secondo posto con una percentuale di più del 17%, quindi un interesse esclusivamente populistico.

Ma certi giornalisti/opinionisti, in realtà complottisti, che interesse possono avere? L’orgoglio. L’orgoglio di saperne sempre più di tutti su tutto. La passione, però, oscura la ragione e le conseguenze possono essere molto gravi, quindi il loro è uno "Schweine Journalismus", come giustamente lo chiamano i tedeschi.

Per terminare: tutto questo può essere considerato da guerrafondai? Di più, occorre chiedersi se, considerando passato, presente e futuro, l’indignazione degli americani non sia più che comprensibile e quale potrebbe essere la loro reazione? Allora, la censura? No. Assolutamente no, perché in democrazia vi è anche la libertà contro la libertà ed essa "assomiglia alla vita umana nella sua componente organica e sociale, biologica e intersoggettiva: esposta ai suoi costanti disordini, racchiude in sé le capacità di riequilibrio" (Frédérich Worms, "Les maladies chroniques de la Démocratie").

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