I dibattiti

Deprivati di notizie

(Ti-Press)

7 (sette) minuti al giorno. Nella giornata di un giovane svizzero c’è tempo per tante cose, ma solo pochi minuti per le informazioni giornalistiche, perlomeno quelle che vengono lette attraverso il cellulare, che è ormai il maggior canale di fruizione delle notizie. È questa una delle conclusioni più rilevanti a cui è giunto lo studio 2022 sulla qualità dei media in Svizzera, pubblicato qualche giorno fa dall’Università di Zurigo. Per quattro settimane i ricercatori zurighesi hanno analizzato i dati dei telefonini di oltre 300 ragazzi tra i 19 e i 24 anni e i risultati emersi confermano quanto già rilevato negli anni scorsi: tra i giovani è in costante aumento la proporzione di chi viene considerato "deprivato di notizie", una categoria che nel nostro Paese globalmente – tenendo conto di tutte le fasce di età – ha raggiunto il 38%. In altri termini quasi 4 cittadini su 10 non si informano e non ritengono che questo sia un problema. Eppure lo stesso studio dell’università di Zurigo ci dice che c’è un legame diretto tra il grado di informazione e la partecipazione alla vita politica. Non per nulla l’astensionismo si fa sentire soprattutto tra chi si informa poco e superficialmente. Sotto pressione dunque non c’è soltanto il giornalismo, da cui i giovani, ma non solo, si stanno sempre più allontanando. In pericolo c’è anche la tenuta democratica della nostra società, perché, sottolineano ancora gli esperti di Zurigo, i "deprivati di notizie" dimostrano scarso interesse per la vita pubblica, hanno poca fiducia nelle istituzioni e tendono a disertare le urne.

Ecco dunque che i problemi con cui è confrontato il giornalismo non possono essere intesi soltanto come delle sfide limitate al mondo dei media. Certo le redazioni sono chiamate a dare le loro risposte a questa sfida ma dal canto suo il mondo della politica non può (più) stare a guardare. Il "deprivato di notizie" è un problema anche per le istituzioni, in particolare proprio in un Paese come il nostro in cui i cittadini sono chiamati alle urne almeno quattro volte all’anno. Chiedersi quale giornalismo vogliamo – e con quali mezzi aiutarlo – significa anche chiedersi quali strumenti vogliamo dare alla nostra democrazia, affinché non corra il rischio di venir sopraffatta da una "nube di indifferenza" sempre più fitta.

Lo scorso 13 febbraio è stato bocciato un pacchetto di aiuti ai media, e il risultato popolare va rispettato. Ma questo non deve impedire di cercare nuove soluzioni, anche perché i problemi del giornalismo sono impellenti e non si limitano al solo aumento dei "deprivati di notizie". Il settore è confrontato anche con la rivoluzione dettata dalla digitalizzazione e con una serie di altri guai maggiori: il calo delle entrate pubblicitarie e quello degli abbonati, l’aumento dei costi dell’energia e della carta. Con i giornalisti – specialmente quelli delle testate regionali – chiamati di fatto a muoversi su tre fronti diversi: il lavoro giornalistico classico, quello per il proprio sito internet e quello destinato ai propri account sui social media. E a ciò si aggiunge il fatto che il settore nella Svizzera italiana e tedesca è privo di un contratto collettivo da ormai quasi 20 anni.

Lo studio dell’università di Zurigo rileva che c’è bisogno di un’azione forte, capace di far capire il valore fondamentale del giornalismo per il confronto e il dibattito pubblico. Ma c’è bisogno anche di misure mirate e capillari che a livello locale possano avvicinare i giovani ai prodotti giornalistici. E su questo fronte bene ha fatto il canton Vaud – pioniere in questa materia – che nel 2021 ha varato un pacchetto di aiuti con particolare attenzione proprio al mondo giovanile a cui è consacrato un programma di educazione ai media. Certo questa iniziativa non risolve da sola tutti i problemi del settore, ma va nella giusta direzione. Un modello che potrebbe essere concretizzato pure in altre realtà. Anche in Ticino qualcosa si muove, seppur lentamente. Sui tavoli della Commissione del Gran Consiglio "Economia e lavoro" è giunta una mozione generica, presentata nel febbraio del 2021 dal deputato Lorenzo Jelmini, firmata da parlamentari di tutti i partiti, Udc esclusa, e sostenuta anche dalla nostra associazione. Vedremo se e come il Gran Consiglio vorrà imitare l’esempio del canton Vaud.

Una cosa però è certa, il tempo stringe. I sette minuti di attenzione alle informazioni giornalistiche rischiano di diminuire ulteriormente, anno dopo anno. Non si può più stare a guardare o a minimizzare un problema già segnalato più volte. E al quale il mondo della politica a livello nazionale e locale non ha ancora dato una risposta adeguata. Certo, si tratta di stanziare fondi in un periodo di finanze pubbliche sofferenti. Ma avanti di questo passo a soffrire sarà – né più né meno – la nostra democrazia.

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