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Basta mettere le industrie all’ingrasso

La taglia di un foglio A4. Questa è la superficie della quale certi polli si devono accontentare per vivere negli allevamenti intensivi svizzeri, nei quali si possono tenere fino a 27’000 individui. Alcuni di loro, se sono fortunati, vedranno il cielo per la prima volta il giorno del loro trasporto al macello, a 5 settimane di vita. Stando a chi si oppone all’Iniziativa contro l’allevamento intensivo in votazione il 25 settembre, queste condizioni di detenzione garantiscono il benessere degli animali. D’altronde la Svizzera è uno dei Paesi con le leggi di protezione degli animali più severe al mondo. A questo punto c’è da chiedersi: come viene definito il benessere degli animali? O meglio, da chi viene definito? Nella regolamentazione dei diritti degli animali prevale l’antropocentrismo, spesso accompagnato da interessi economici. Infatti, a ingrassare in maniera sproporzionata non sono solo gli animali allevati, ma anche il portafogli delle grandi industrie zootecniche, per le quali la massimizzazione del profitto precede ogni altro aspetto. Prodotti di prezzo e qualità inferiori invadono il mercato. E questo a scapito degli animali allevati, ma anche dell’ambiente, delle piccole produzioni, dei consumatori e delle consumatrici. È importante sottolineare che l’iniziativa concerne circa il 5% delle imprese agricole. La maggior parte delle aziende non sarebbe nemmeno toccata, in quanto già rispetta le condizioni richieste. Degli aiuti finanziari inoltre sarebbero previsti per le aziende toccate dall’iniziativa, che grazie al periodo di transizione di 25 anni avrebbero tempo a sufficienza per evolvere e raggiungere le nuove norme. Infine, le prescrizioni sull’importazione di prodotti di origine animale proteggerebbero l’agricoltura locale dalla concorrenza di merce importata a prezzi stracciati, e proveniente da industrie con pessimi standard etici e qualitativi.

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