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Nucleare e ambiente

Lo sostiene l’Udc, ma definire ecologico e rispettoso del clima il nucleare, così come lo conosciamo, è uno sproposito per diversi motivi. Limitando il discorso alla questione climatica, è indubbio che il nucleare sia molto interessante per le bassissime emissioni di CO2 che il suo impiego comporta, ma la fisica insegna che il CO2 è solamente al secondo posto tra i gas a effetto serra, preceduto di alcune lunghezze dal vapore acqueo. Infatti, solamente un terzo del calore prodotto dal reattore nucleare viene trasformato in elettricità utile, mentre il resto viene disperso nell’ambiente. L’aria così riscaldata può assorbire molta più umidità e di conseguenza aumentare il vapore acqueo e quindi il cambiamento climatico, effetto che va ad aggiungersi al riscaldamento diretto dell’ambiente.

Nel 2020 il nucleare ha fornito 2’553 TWh di elettricità, dunque 5’000 TWh sono finiti direttamente a scaldare l’ambiente, una quantità d’energia corrispondente al consumo di energia elettrica del nostro Paese in 87 anni! Ogni mezza giornata il nucleare disperde nell’ambiente una quantità di calore capace di portare a ebollizione i 100 miliardi di litri d’acqua del bacino della Verzasca. Non è ecologico, per definizione, tutto ciò che può turbare l’equilibrio dell’ambiente naturale.

L’estrazione dalle miniere delle 50-60’000 tonnellate di uranio necessarie annualmente al nucleare avviene iniettando nel sottosuolo ingenti quantità di acido in modo da dissolvere l’ambìto materiale e portarlo in superficie: una pratica non propriamente ecologica, specie se praticata in Kazakistan. L’uranio, quasi inerme in natura, nei reattori viene trasformato in una serie di isotopi altamente radioattivi con tempi di decadimento anche molto lunghi, sostanze in parte anche particolarmente tossiche. Si dice che l’inalazione di alcuni microgrammi di plutonio causi il cancro ai polmoni, mentre quella di alcuni milligrammi sia causa di morte sicura e che mezzo grammo di cesio 137, quello noto ai nostri cacciatori, sia sufficiente a rendere inabitabile una superficie di un chilometro quadrato.

A fine 2016 il volume delle scorie radioattive solide inventariate superava i 37 milioni di metri cubi, mentre le sbarre di combustibile esausto avevano raggiunto le 390’000 tonnellate. Usa e Federazione russa hanno ancora 60 milioni di metri cubi di scorie liquide da trattare, mentre almeno altrettante sono state iniettate in pozzi sotterranei. Molto materiale radioattivo è finito in mare: solo la Svizzera, fino al 1982, ne ha affondato 5’321 tonnellate. Da anni il nostro Paese sta progettando un deposito definitivo a 500-900 metri di profondità che, con una spesa di almeno venti miliardi, si prevede di aprire nel 2060 e chiudere nel 2126.

Il fatto che l’autorità abbia richiesto che questo deposito sia concepito per un milione di anni la dice lunga sul mostro certamente poco ecologico che il nucleare ha partorito.

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