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I valori della sinistra e l’Ucraina

I "valori della sinistra" è un’espressione che torna spesso: essa indicherebbe i valori che accomunano, o dovrebbero accomunare, le diverse forze politiche della sinistra.

Sono poche le occasioni pratiche nelle quali la "sinistra" può verificare la tenuta dei propri "valori": la guerra, le guerre, sono (e lo sono state lungo tutta la storia del movimento operaio) un momento in cui questi valori vengono messi alla prova. Il pacifismo internazionalista della socialdemocrazia storica – pertanto "valore assoluto"a quei tempi – crollò all’inizio della Prima guerra mondiale, decretando – da allora in poi – l’attaccamento di questa corrente al principio della difesa nazionale.

Anche il conflitto ucraino ha confermato che, nelle forze che si richiamano a "sinistra", alcuni "valori" non sono condivisi. Ad esempio, vi è una parte della sinistra (e li vediamo sia nel contesto cantonale che in quello internazionale) che non ritiene che un Paese aggredito militarmente da un altro, invaso, bombardato, represso debba, in ogni caso e per principio – proprio in ossequio ad alcuni valori – ricevere il sostegno di chi si schiera a "sinistra".

I diritti democratici fondamentali – e l’autodeterminazione di un popolo è uno di questi – non possono essere condizionati da nessuna considerazione e condizione di ordine geostrategico. Non possono esserci – per la sinistra così come noi la intendiamo – né "se" né "ma" tali da giustificare un’aggressione come quella di Putin all’Ucraina. Se dobbiamo porci sul terreno dei valori, allora dobbiamo affermare con chiarezza che questo principio è un valore costitutivo dell’idea che noi abbiamo di sinistra.

Allo stesso modo altri principi democratici – come quelli di potersi liberamente esprimersi, organizzare, mobilitare sul terreno pubblico e su quello economico e sociale – non possono essere limitati in nessun modo e da nessuno. Sappiamo quanto sia difficile – e chi conduce una politica di opposizione al potere, come l’Mps, lo constata tutti i giorni – far rispettare questi diritti nei Paesi capitalistici che pertanto si dichiarano liberali e democratici; sappiamo quanto spesso il dominio del potere economico non permetta di dare sostanza a questi diritti formali (basti pensare al principio della libertà di stampa). Ma tutto questo non significa che tali principi non debbano essere difesi, proclamati e praticati.

La nostra critica al modo in cui i diritti democratici sono sviati e vilipesi nei Paesi capitalisti non potrà mai giustificare che tali diritti vengano negati e vilipesi in Paesi che sono – per considerazioni geopolitiche – avversari di questi stessi Paesi capitalistici.

Prima di tutto perché questi Paesi (che una certa sinistra difende a spada tratta) appartengono a pieno titolo al mondo capitalista. Un Paese come la Russia è il prototipo di un capitalismo corrotto, estrattivista, inquinante, orientato – sempre più sotto l’egida di Putin – alla priorità militare a scapito di socialità, formazione, ambiente e infrastrutture. I russi hanno subito un degrado senza precedenti del loro tenore di vita, già in precedenza in fase declinante, e tra di essi si è sviluppato un livello di disuguaglianza tra i più elevati al mondo.

In secondo luogo questi Paesi sono, a loro volta, Paesi imperialisti; cioè Paesi i cui capitali si valorizzano investendo e sfruttando ricchezze e lavoro di altri Paesi. L’esempio della Cina e della sua politica in Africa è lì a dimostrare questo rapporto di subordinazione e sfruttamento in numerosi Paesi. Ad esempio, il governatore della Banca Centrale della Nigeria, in un’intervista al Financial Times, dichiarava: "La Cina si impadronisce delle nostre materie prime e ci vende prodotti finiti (…) Questa è proprio l’essenza del colonialismo. L’Africa sta spalancando le sue porte a nuove forme di imperialismo (…)".

Per questa ragione il conflitto tra Russia e Paesi occidentali – Stati Uniti ed Europa in primis – non è un conflitto tra mondi socialmente ed economicamente diversi, ma tra mondi dominati dalla logica del capitale in concorrenza tra di loro. Persino l’oggetto della contesa – l’Ucraina – è un Paese impoverito dallo sviluppo di un capitalismo interno autoritario, corrotto, legato a doppio filo alle direttive e alle politiche imposte dall’Fmi (che gli ha permesso, con i suoi prestiti, di stare a galla) che spinge per privatizzare terre e infrastrutture.

I salariati e le salariate di questi mondi del capitale in concorrenza non hanno nulla, ma proprio nulla, da guadagnare dallo scontro in atto. Hanno solo da perdere, hanno già cominciato a perdere di fronte agli annunci del rafforzamento della corsa al riarmo (pensiamo ai 100 miliardi di investimenti militari annunciati dal governo tedesco a trazione "rosso-verde": alla faccia della socialità e dell’ambiente che poco hanno a che vedere con simili investimenti, anzi!).

Per questo non è accettabile che da "sinistra" si mostri "comprensione" per l’atteggiamento della Russia giustificandolo sulla base delle spinte egemoniche della Nato e del suo allargamento a Est negli ultimi anni. Opporsi a questa politica della Nato, chiederne lo scioglimento – come abbiamo sempre rivendicato e rivendichiamo ancora oggi nel quadro di una politica di disarmo complessiva – non può giustificare in nessun modo il sostegno alla politica di Putin, la difesa del suo regime autoritario e antidemocratico e, ancora meno, l’attacco all’Ucraina, al suo territorio e al suo popolo. Chi difende questo modo di pensare è lontano dai "valori" che secondo noi dovrebbe difendere la "sinistra". E, in fondo, è questo l’aspetto fondamentale che deve essere al centro della discussione "a sinistra": tutto il resto appare come un tentativo di diversione.

Il "secolo breve" ci ha consegnato i peggiori orrori perpetrati in nome di grandi ideali come il socialismo e il comunismo, un secolo che ha visto sovrapporsi e confondersi comunismo e stalinismo, un ideale di emancipazione umana e un regime tirannico e disumano. A quegli ideali noi continuiamo a riferirci, coscienti tuttavia che quell’eredità pesa e peserà ancora per generazioni.

Chi difende oggi Putin facilita di fatto il gioco della borghesia occidentale alla quale fa comodo diffondere l’idea che, combattendo Putin, in un certo modo si continua la battaglia contro il "comunismo". In realtà si tratta di una "guerra fredda" non più tra comunismo e capitalismo, ma tra capitalismi in concorrenza.

Per uscire da questo vicolo cieco, la "sinistra" non potrà che essere radicalmente democratica e anticapitalista; il socialismo sarà democratico, di una democrazia radicale e totale, o non sarà. Solo partendo da questi "valori" la "sinistra" potrà di nuovo essere tale.

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