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Una politica da ripensare

(pixabay.com)
26 ottobre 2021
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Sotto il titolo “Fuga dei migliori e formazione professionale”, laRegione dello scorso 13 ottobre ha pubblicato un articolo del prof. Gianni Ghisla. In esso l’autore esprime diverse interessanti e pertinenti considerazioni sull’impostazione della formazione post-obbligatoria nel nostro periferico Cantone. Egli osserva, tra l’altro, che la formazione professionale ha sempre avuto un ruolo di cenerentola, anzi “è stata imperdonabilmente negletta”, rispetto a quella “prospettiva accademica” che ha trasformato il Ticino in una “terra di licei” e che è sostenuta preferenzialmente dalle autorità. L’autore dice giustamente, che ben difficilmente una formazione professionale debole favorirà un’economia forte, e questo malgrado l’impegno di numerose personalità, tra cui a suo tempo spiccavano i nomi di Brenno Galli e di Francesco Kneschaureck. Se ciò è avvenuto, la “colpa” non è certo dei diversi responsabili che nel corso del tempo si sono succeduti alla testa della Sezione per la formazione professionale (Luigi Brentani, poi Francesco Bertola, in seguito Vincenzo Nembrini, infine lo stesso Ghisla), ma piuttosto di quella mentalità “mediterranea” che imperversa a Sud delle Alpi fin dagli anni 50, e che porta a ritenere il lavoro in ufficio o in banca più dignitoso di quello in fabbrica o sui cantieri. A proposito di cantieri, va inoltre ricordato che per secoli i ticinesi hanno eccelso in svariate attività legate all’arte edile. Ebbene: quanti sono oggi i ticinesi “de souche” attivi nel settore? Forse non è neppure sbagliato indicare una delle cause della situazione citata nel servizio di Orientamento professionale. Non di rado si ha infatti l’impressione che esso tenda ad “accontentare” tutti i desiderata, anche i più strambi, dei giovani, indirizzandoli verso formazioni che in realtà non contemplano una vera occupazione. Un altro aspetto trattato nell’articolo riguarda gli studenti che al termine degli studi rimangono oltre-Gottardo, dove gli stipendi, si dice, sono migliori (ma dove anche il costo della vita – come non dice mai nessuno – è più elevato...). Al riguardo, egli si limita a osservare che il fenomeno dei giovani che non rientrano nel Cantone d’origine è praticamente inevitabile, ma che altri giovani sarebbero maggiormente attratti dal Ticino se il Cantone avesse un’economia forte.
Da parte mia c’è però un’altra questione che mi sembra importante, ovvero la necessità di riaprire il dibattito su assegni e prestiti di studio. Oggi, per considerazioni “sociali” si prediligono i primi. Secondo me sarebbe invece opportuno rovesciare il discorso, ovvero stabilire che, in linea di principio, si tratta di prestiti che il beneficiario è tenuto a rimborsare (sia pure a condizioni di favore), non di assegni a fondo perso. I prestiti potranno poi essere condonati se il beneficiario, dopo gli studi, si stabilisce in Ticino, contribuendo così alla sua economia. Altrimenti si tratta solo di spese a favore di altri Cantoni, magari in condizioni finanziarie migliori delle nostre.
Forse non sarebbe male ripensare tale politica.

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