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Lacrime di coccodrillo

Cervelli in fuga e spopolamento del Canton Ticino. Tra lo stupore generale, ci si sta rendendo sempre più conto che i giovani ticinesi, terminato il loro percorso oltralpe, non rientrano nel nostro Cantone con il bagaglio di esperienze e competenze acquisite, come pure del rischio di investire in Ticino nella formazione di profili che poi, in buona parte, cercano e trovano lavoro oltre Gottardo. A questo impoverimento del nostro tessuto aggiungerei, però, la costatazione che in soli 10 anni, a fronte dei 26’000 nuovi posti di lavoro creati, l’aumento dei lavoratori stranieri occupati supera le 28’000 unità. E il fatto che i lavoratori svizzeri, da un paio d’anni e per la prima volta nella storia del Cantone, sono oggi in minoranza rispetto ai lavoratori stranieri. Un sorpasso che coincide con l’esplosione del frontalierato che ha agevolmente superato quota 70’000. Mi verrebbe da dire che i nodi stanno venendo al pettine: le opportunità professionali e i salari in Ticino sono tristemente inferiori rispetto a quelli in Svizzera. Una novità? A me sembra si stia scoprendo l’acqua calda. Questa è sempre stata una delle più grandi preoccupazioni di coloro che hanno visto nella libera circolazione quel semaforo verde ad una dinamica che ora è sulla bocca di tutti. Certo, anticipare il futuro è un’arte, e talvolta si sbaglia, ma su questo punto era fin troppo semplice essere facili profeti. Ora c’è chi, risvegliandosi dal letargo, sta portando il tema alla ribalta. Ben venga direi. Ma quali sono le soluzioni sul tavolo? Durante le campagne di votazione che puntavano sulla gestione dell’immigrazione di massa, ci è stato da più parti rimproverato che le proposte dell’UDC non erano quelle giuste. Ben altre sono le soluzioni, si diceva. Ebbene, anche i più disattenti avranno potuto notare come passata la buriana, proprio da parte di chi si opponeva con veemenza alle nostre preoccupazioni, il silenzio è rimasto assordante. Quelle di oggi sono forse lacrime di coccodrillo, per non dire di formica rossa? Il salario minimo, democraticamente approvato e dunque da applicare e rispettare, ha certo aumentato lo stipendio, per due terzi di frontalieri, ma, evidentemente, non è la soluzione per il residente. Anzi, induce una pressione verso il basso dei salari del ceto medio. Nell’ultima rilevazione federale, questo fenomeno è ben visibile. Ora ci si chiede come far sì che i nostri giovani rientrino o restino nel nostro Cantone quando non vi sono regole per favorirli nelle assunzioni e quando devono competere, nel settore terziario, con frontalieri muniti di licenza universitaria, pronti a lavorare per salari dorati nei loro Paesi ma insufficienti per i ticinesi che vogliono progettare la propria vita a casa loro. È giusto chiederselo! A questi giovani, e penso anche alle loro famiglie, vanno date delle risposte, magari non quella della consigliera federale Keller Sutter che, alla mia richiesta di un paio di settimane fa di convocare il comitato misto Svizzera-UE per discutere di questi e altri temi, ha cortesemente declinato e candidamente risposto che il Ticino è vittima del suo successo. E neppure quella della solita storiella dei frontalieri che fanno lavori che i nostri non vogliono più fare. Non indulgo oltre nel mettere i punti sulle i, ma non nascondo che il tentativo di mostrarsi esterrefatti per la frittata combinata è piuttosto maldestro. L’Udc, tuttavia, non smetterà di occuparsi di questo fondamentale tema. Si tratta delle nostre vite e quelle dei nostri figli. Accanto alle molte, moltissime proposte cantonali depositate negli anni scorsi, un’iniziativa federale è già allo studio. Chissà come reagiranno i benaltristi, coloro che si trincerano sempre dietro il più classico “ben altro sarebbe da fare”. Penso che questo “ben altro”, tanto declamato e mantenuto gelosamente segreto, sia ora di metterlo a conoscenza e a beneficio di tutti.

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