I dibattiti

TiSin, la Lega e il minimo sindacale

Il cerchio politico si chiude se oltre ai due deputati leghisti Bignasca e Aldi guardiamo al Consigliere di Stato Norman Gobbi

(Ti-Press)

Negli ultimi tre decenni, la Lega dei ticinesi si è affermata politicamente con il tema del frontalierato e della preferenza indigena. Nel 2019, il gruppo parlamentare di via Monte Boglia ha votato il salario minimo – a suo dire – per permettere l’impiego di personale residente, non accettando più sul territorio paghe da fame. In questi giorni è emerso che due esponenti di primo piano, il capogruppo Boris Bignasca e la vicecapogruppo, l’avvocata Sabrina Aldi, hanno fondato un’organizzazione per il lavoro che – cito dallo statuto pubblicato sul sito di TiSin – “si ispira ai principi di difesa del territorio e della popolazione che ci vive nell’ottica di promuovere una politica del lavoro che dia preferenza ai lavoratori locali”.

Negli scorsi giorni si è appreso che TiSin ha sottoscritto un accordo con tre imprese del Mendrisiotto che impiegano per la maggioranza personale di oltre confine (oltre l’80%) e che intendono corrispondere un salario minimo di gran lunga inferiore a quello previsto per legge. Molte le voci critiche al riguardo, ma anche, come prevedibile, qualche difesa d’ufficio. E allora sentiamo ad esempio dire che per i frontalieri 14 o 16 franchi l’ora vanno bene, che l’alternativa sarebbe perdere il lavoro, che queste imprese sono in difficoltà e via narrando.

Personalmente, e così anche il gruppo Plrt in Parlamento, ero contraria al salario minimo e favorevole invece al consolidamento del partenariato sociale. Questo anche per evitare che i salari venissero livellati verso il basso, piuttosto che aumentati e finalmente adeguati alla necessità di poter vivere in Ticino con il proprio stipendio senza dover far capo agli aiuti sociali (vale a dire senza che la collettività finanzi indirettamente alcune imprese). Insomma, il danno e la beffa. La politica anti-frontalieri prima ha pescato i voti e ora anche le quote sindacali cercando di farci credere che l’operazione sarebbe in buona fede tanto che, sostiene il presidente Ceruso, nessuno di chi collabora in TiSin viene pagato. Cosa ne è dunque dei versamenti dei datori di lavoro a questa organizzazione? Urge trasparenza anche a questo proposito, fosse solo per non arrivare a pensare che si tratti di somme destinate a iniziative imprenditoriali, ad esempio, o, perché no, a campagne elettorali.

Il cerchio politico si chiude se oltre ai due deputati leghisti Bignasca e Aldi guardiamo al consigliere di Stato Norman Gobbi. Interpellato a suo tempo sul tema permessi, candidamente, ha affermato di aver voluto dare un giro di vite.

Il risultato? In Ticino chiunque ottiene un permesso G e può lavorare come frontaliere, molto spesso sottopagato. Per contro, vi sono riscontri chiari che, per volontà del Dipartimento istituzioni diretto da Gobbi da oltre 10 anni, è sempre più difficile trasferirsi nella nostra regione a beneficio di un permesso B (o anche solo rimanerci), promuovendo una sequela di controlli discutibili, se non illegali, utili al solo scopo di non rinnovare i permessi B esistenti, tanto che alcuni dei richiedenti lasciano il nostro Cantone ancor prima che si concluda la procedura o, peggio, si accontentano di un permesso G. E allora il numero di frontalieri sale senza sosta (circa 72’000 al momento), lo sfitto è sempre più preoccupante e in alcuni Comuni si chiudono delle sezioni di scuola dell’infanzia, solo per citare alcune delle conseguenze.

Nessuna bacchetta magica risolverà il problema dei bassi salari, non ci riusciranno né l’indignazione né la strumentalizzazione di “prima i nostri”. Resta un fatto però: i più deboli hanno bisogno di più reddito (dato dal proprio lavoro) e di maggiore protezione. Lo Stato può fare molto e ancor più deve fare il partenariato sociale, ad esempio investendo nella formazione, nell’innovazione e nel controllo sul terreno. Il tema del frontalierato ha anche ragioni storiche, economiche e giuridiche che poco dipendono (purtroppo, ma così è) dalla volontà politica del solo Ticino. Certo però che se è proprio la prima forza politica in Governo con i suoi esponenti a utilizzare i buchi di una rete fatta male – quella sul salario minimo – per favorire proprio i bassi salari – e quindi il frontalierato – allora sarà difficile, se non impossibile, rafforzare il mercato del lavoro in Ticino.

Non ci resta che appellarci subito alle autorità, alle associazioni padronali e ai sindacati degni di questo nome. Sono sicura che – al di là di qualche interesse di bottega – alla maggioranza stia davvero a cuore il rispetto delle leggi e, non meno importante, delle persone. È il momento di dimostrarlo.

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