I dibattiti

Che macello

Sono un padre di famiglia che una ventina di anni frequentava dapprima gli spazi del Mulino di Viganello, in seguito sporadicamente il Maglio e poi, molto meno, il Macello. Non ero un «brozzone scansafatiche» allora (definizione fissa coniata da un municipale della Città per i frequentatori del Centro), come non lo sono oggi. La mattina, fatta la doccia, vado presto a lavorare per un attività di cui sono titolare e per la quale pago le tasse a Lugano. Ora sono i miei figli a frequentare il Macello e anche loro si lavano e lavorano o studiano. Eravamo assieme alla manifestazione di sabato. Questo continuità, ma anche il suo naturale ricambio generazionale stanno a significare un fatto inequivocabile: c’era una necessità allora che sussiste tutt’oggi e che non si è né estinta, né risolta. La ricerca di un luogo dove un gruppo di persone – che non sarà rappresentativo dell’intera popolazione, ma comunque esiste ed è significativo – si possa riconoscere frequentandolo. Un luogo di cultura, discussione, partecipazione, svago – cioè tutte attività che in questo momento storico parevano esser diventate una chimera – e non solo di fruizione. Un luogo dove non essere solo dei clienti. Un quarto di secolo non sono bastati a far accettare questa necessità, benché la sua esistenza sia sopravvissuta in tutti questi anni, anche se sempre in uno stato di provvisorietà. È da diverso tempo che il Municipio di Lugano ha deciso che all’interno della ristrutturazione degli spazi dell’ex Macello non vi sia spazio per questo tema, bandendo un concorso che di fatto non ha contemplato una soluzione in questo senso all’interno dell’area. Che questo non fosse possibile è stata una scelta politica, non strategica o tematica, prova ne è che un membro autorevole del gremio di giurati dello stesso concorso si era espresso pubblicamente, prima dell’elaborazione del bando, a favore di un possibile coinvolgimento del Centro Sociale, in collaborazione con l’Università, all’interno della trasformazione. Questo membro era il rettore della stessa Università, Boas Erez, di certo non estraneo alla realtà del mondo giovanile e decisamente piu lungimirante dell’esecutivo cittadino su questo tema. Il suo possibile coinvolgimento quale mediatore oggi e le parole espresse nei dibattiti televisivi ne sono una prova. Questa scelta acquisita ha provocato dapprima frustrazione a chi è stato messo alla porta senza offrire alternative, poi crescente rabbia, ora esplosa, viste le assurde modalità in cui si è mosso il Municipio negli scorsi giorni. Tenendo oltremodo conto che è il mondo giovanile al completo oggi al centro di un problema, perché sta soffrendo in maniera diversa – rispetto ad altre generazioni – ma profonda, quanto sta accadendo da un anno e mezzo a questa parte a causa di tutte le conseguenze dell’evento pandemico. Sono venute meno per un periodo troppo lungo tutte quelle realtà che sono proprie e necessarie all’età di formazione: uscire, trovarsi, toccarsi, ballare, andare a un concerto o a una festa, assistere e partecipare fisicamente alla vita. Abbiamo un problema come società che già si manifesta in tutta la sua irruenza e crescerà se come uniche soluzioni prevediamo gli sbarramenti. Negli scorsi mesi ne abbiamo visto le dimostrazioni lampanti, e non nella realtà del Macello ma in tutti gli altri ambiti dove per forza di cose i ragazzi si sono ritrovati: foce, pensilina, strade e piazze. Vi è la chiara percezione di un disagio diffuso che si può risolvere con la violenza oppure trovando spazi dove la violenza non ha necessità di esistere. Sgomberare con la forza gli spazi dell’ex macello senza avere nessuna proposta alternativa di sicuro è una scelta miope e senza prospettiva, sia a breve che a lungo termine, con la città che ora si trova con un problema che non vuole risolvere, ma che dovrà imparare a farlo. Un esecutivo consapevole di questi aspetti non può non provare preoccupazione per tutta la Lugano che verrà e di cui è responsabile politico, e questo non si risolve unicamente con gli altri importanti progetti che sta portando a compimento, ma che non possono essere gli unici a dovere essere intrapresi.

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