I dibattiti

La fine dei privilegi

Dopo non meno di 5 anni di discussioni e lavori commissionali, il Gran Consiglio nell’ottobre 2020, anche sulla spinta dell’Iniziativa popolare “Basta privilegi ai Consiglieri di Stato” lanciata dal Ps, ha alfine approvato, a larghissima maggioranza, il disegno di legge teso a regolare in modo chiaro il sistema previdenziale dei Consiglieri di Stato, fin lì basato su una legge risalente agli anni 60 del secolo scorso e sulla prassi sviluppata nella sua applicazione.

La nuova legge non si limita al riordino delle vecchie normative, ma introduce delle novità su aspetti ritenuti non più condivisibili: prima su tutte la decisione di assoggettare in futuro i Consiglieri di Stato, come gli altri dipendenti del Cantone, all’Istituto di Previdenza del Cantone Ticino (finora le loro prestazioni previdenziali erano pagate direttamente dal Cantone), mettendo a loro carico i relativi contributi (finora ne erano esentati); in secondo luogo l’introduzione, per il caso di mancata rielezione o comunque di cessazione dell’attività prima dell’età pensionabile, di limitazioni alla facoltà di ricevere delle indennità sotto forma di rendite (altrimenti dette “vitalizi”), in modo da eliminare le cosiddette “baby pensioni”, cioè la situazione in cui, grazie anche alla possibilità di riscattare anni di servizio (a condizioni che l’Mps ritiene troppo vantaggiose), un Consigliere di Stato che ad esempio si ritirasse a 45 anni dopo 8 di servizio percepirebbe per 20 anni, sino all’età pensionabile, un’importante prestazione previdenziale in forma di rendita. Nel complesso, dunque, si può senza dubbio affermare che il nuovo sistema approvato dal Gran Consiglio ha sensibilmente peggiorato il trattamento economico degli ex Consiglieri di Stato: l’affiliazione all’Ipct comporta che le future rendite, oltre a essere erogate a condizioni più restrittive, saranno fissate in base al primato dei contributi e non più come una percentuale del precedente onorario, per cui si può stimare una riduzione indicativa di tali rendite da un terzo alla metà. Per evitare che l’assoggettamento all’Ipct provocasse anche la diminuzione del salario netto dei Consiglieri di Stato in carica, il salario lordo è stato aumentato nella misura necessaria a garantire il precedente salario netto. Inoltre il Gran Consiglio ha abrogato la trattenuta del 9% del salario dei Consiglieri di Stato in carica, trattenuta in vigore dal 2015 e di dubbia legalità, restituendo quanto trattenuto agli aventi diritto.

Tutti contenti? Pare di no. La voce fuori dal coro è quella dell’Mps, che ha raccolto le firme necessarie a portare i ticinesi alle urne. Per i referendisti la riforma, che non si applica ai membri del Governo in carica, manterrebbe invariati i privilegi dei Consiglieri di Stato e anzi farebbe loro un ulteriore regalo con il consistente aumento del loro stipendio. In sostanza, la riforma è da bocciare in quanto non sufficientemente restrittiva nei confronti dei membri dell’esecutivo. Premesso che il presunto aumento dello stipendio dei Consiglieri di Stato tale non è perché il salario netto non cambierà di una virgola, agli amici comunisti, che non intendono ragioni, non interessa che questa legge sia il frutto di un lungo lavoro condiviso dalle varie forze politiche su di un tema molto delicato, né essi sono disposti a considerare che ai Consiglieri di Stato va garantito un trattamento economico almeno ragionevole e correlato all’importanza e alla delicatezza della carica. Il mantra è che i presunti “privilegi” devono cessare in nome dell’uguaglianza del proletariato. Ebbene, qualora il referendum la dovesse spuntare, il risultato pratico non sarà per nulla quello voluto dai referendisti di ulteriori tagli o restrizioni del trattamento economico o previdenziale dei Consiglieri di Stato, ma solo quello di fare cadere la riforma di legge e conseguentemente di mantenere in vigore l’insoddisfacente situazione attuale. A ben vedere, quindi, gli amici dell’Mps, a dispetto dei proclami reboanti, si stanno battendo per mantenere inalterati quei privilegi dei Consiglieri di Stato che dicono di volere combattere.

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