I dibattiti

‘Permesso permettere’: libertà e salute dopo un anno di virus

Dopo un anno di pandemia gli accattivanti slogan del Sessantotto – "vietato vietare", "la fantasia al potere" – sono stati completamente offuscati

L'autore dell‘articolo e capogruppo del Ppd in Gran Consiglio Maurizio Agustoni (Ti-Press)
8 febbraio 2021
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Il ’68, in assenza di grandi conquiste per l’umanità, ha quantomeno lasciato alla posterità due slogan accattivanti: “vietato vietare” e “la fantasia al potere”. In tempi di pandemia questi slogan sono stati completamente offuscati, soprattutto dai presunti eredi della stagione sessantottina. La libertà, nelle sue varie forme (personale, culturale, economica ecc.), sembra diventata uno dei beni più sacrificabili della nostra società. Oramai, quando si discute se chiudere un’attività, non ci si chiede più se sia lecito vietarla, ma se sia lecito permetterla. Dal “vietato vietare”, siamo passati al “permesso permettere”, quasi che la libertà fosse la generosa concessione di uno Stato benevolo. Mi sembra inoltre che sia mancata una vera riflessione sul contributo (anche) ideale di certe attività per il benessere della nostra società. Le “aperture”, non a caso, sono stabilite secondo criteri di “sussistenza”: cibo sì, cultura e intrattenimento no.

Non nego, ovviamente, la necessità di nutrire periodicamente il corpo; affermo però che ci sia una necessità altrettanto importante di nutrire la mente e lo spirito. Per cui, a parità di misure di sicurezza, gli stessi rischi che accettiamo per consentire l’acquisto di un pacco di pasta, dovremmo accettarli per l’ascolto di un concerto o di una conferenza. E invece, da “la fantasia al potere” sembriamo approdati a “lo stomaco al potere”. Senza negare la teoria evoluzionista, c’è da rimpiangere l’idealismo di Benjamin Disraeli quando affermava: “il signor Darwin sarà anche disceso dalle scimmie, io discendo dagli angeli”.

La pandemia, nella tragedia, ha comunque risvegliato alcuni principi che sembravano fuori moda, in particolare che ogni vita conta, a prescindere dagli anni e dagli acciacchi dell’interessata/o. Il fatto che la priorità nella vaccinazione sia stata data agli Over 85 è un segnale inatteso e incoraggiante di premurosità verso le persone più fragili.

La pandemia ha però esasperato alcuni difetti contemporanei, primo fra tutti l’allergia alla complessità. Per certi versi, è comprensibile: quando si affronta un pericolo immediato e letale, non c’è spazio per le sofisticherie. Dopo un anno, però, si può provare a sgrezzare qualche semplificazione eccessiva. La tutela della vita, per esempio, è sicuramente un valore essenziale della nostra società, forse il più importante. Proprio per questo bisogna riconoscere che alcune chiusure possono essere utili per limitare il contagio, e quindi tutelare la vita di alcuni, ma possono avere conseguenze drammatiche per la vita di altri. Non penso principalmente alle conseguenze economiche (che sono forse quelle meglio rimediabili), ma soprattutto alle conseguenze per la salute fisica e mentale.

La chiusura prolungata della scuola, per esempio, potrebbe avere un effetto devastante per il futuro psicofisico di migliaia di giovani e aumentare le differenze sociali. Inoltre, non è molto sano che le persone camminino per strada con l’ansia di essere delle bombe ambulanti. Si tratta quindi di trovare un equilibrio affinché la tutela della vita non sia in competizione con la libertà di vivere. Può sembrare una formula vuota e difficile da tradurre in pratica, ma mi sembra una riflessione inevitabile per impostare la nostra convivenza sociale dei prossimi anni. Si potrà pensare a misure differenziate in base all’età o allo stato di salute, a cambiamenti nella modalità di lavoro, nell’organizzazione dei trasporti, ecc.. Soprattutto non bisognerà cedere alla tentazione di dare risposte semplici a questioni complesse, perché rischiano di andarci di mezzo le nostre libertà e i nostri diritti. Una sfida non da poco: c’è in gioco la differenza tra una massa di individui e una civiltà di persone.

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