I dibattiti

Rete Due e la resistenza alla cultura on demand

Tommaso Soldini sul progetto di trasformare la radio culturale della Rsi in un canale prevalentemente musicale

Archivio Ti-Press
6 dicembre 2020
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Quando si trattò di difendere il servizio pubblico dal durissimo attacco di chi percepiva come eccessiva la Billag, io, votando per la salvaguardia della Rsi, pensavo soprattutto all’informazione, agli approfondimenti e alla cultura. Insomma, si potrebbe quasi dire che pensassi a Rete 2.

Alla rete culturale che c’era, che in parte c’è ancora e che qualcuno, ormai sembra chiaro, sulla base di un principio di lettura della società che poco ha a che vedere con il mandato pubblico, vuole spazzare via. Qual è questo principio? Gli ascolti o, meglio, il rapporto tra costi di produzione e ascolti.

Se io fossi a capo di un giornale che deve garantirsi la sopravvivenza, infatti, non potrei prescindere da un ragionamento di questo genere; dunque potrei essere costretto a ridurre continuamente il numero di pagine dedicate all’approfondimento per rincorrere gli interessi del pubblico potenziale. Il rischio di diventare una Gazzetta dello sport mascherata sarebbe molto alto.

Sono però abbastanza sicuro che la ragione per cui ancora abbiamo dei giornali generalisti è che vi è una netta differenza, negli auspici dei lettori, tra quel che si consuma regolarmente e quel che si vuole che ci sia sul giornale che leggiamo. In effetti le notizie serie, le trasmissioni alte spesso capita che non abbiamo voglia di leggerle o di seguirle, perché abbiamo poco tempo o perché ci sembra che la stanchezza giustifichi una sorta di abbrutito ozio, e stiamo volentieri davanti a una trasmissione frivola e leggera, che ci consenta di staccare dai pesi della quotidianità. Sembra essere questa la (non più) nuova legge morale del cittadino occidentale. Staccare, rilassarsi, svagarsi. Ed ecco, come a voler ammansire le crisi di un eroinomane, le dosi di quiz televisivi, di film per tutti, di chiacchierate fresche e ridanciane.

Anche nell’informazione e nella cultura, fatta eccezione, appunto, per Rete 2 e per le poche trasmissioni di approfondimento che la dirigenza della Rsi continua a mantenere, ridere, essere simpatici è diventata una necessità. Non si può parlare di libri a meno che non vi sia un comico pronto a stemperare, a rinfrescare. La frivolezza deve essere sempre in scena, così come in alcune culture vi erano le prèfiche, ad assicurare la presenza di lacrime e strazio nelle diverse fasi del lutto.

Ma non è sempre così, perché capitano momenti virulenti come questo, in cui il desiderio di comprensione torna ad essere impellente. Negli ultimi mesi siamo stati compatti nel guardare le conferenze stampa dei nostri governi, abbiamo letto e ascoltato esperti di virus, politici, sociologi, abbiamo cercato risposte alle nostre ansie; abbiamo sospeso la necessità di staccare, di sorridere di tutto.

Molti hanno riscoperto, credo, il senso del servizio pubblico, capace di offrire un giornalismo alto, serio, professionale. La Rete 2, come per magia, è tornata ad essere la stazione radio ammiraglia della Rsi, pronta a raccogliere le esigenze della società, viva e pulsante proprio perché, per anni, ha svolto il proprio mestiere con la lentezza di chi sa che il divertimento sta anche nella comprensione.

Se tutti i proprietari di giornali, di reti radiofoniche e televisive si comportassero come chi oggi vuole depotenziare la radio culturale, Il mondo nuovo di Huxley non sarebbe quasi più una distopia, la dittatura della trasmissione fresca somiglierebbe sempre di più a quel “Soma” distribuito per intorpidire tutti. Se il servizio pubblico rinunciasse a scandagliare con lentezza la terra che abitiamo, forte del fatto che paghiamo perché lo faccia, per dirottare tutto ciò che è poco seguito sulla rete o, peggio ancora, per cancellarlo, agirebbe non solo in modo disonesto di fronte a chi paga il canone perché siano garantite trasmissioni di qualità, tradirebbe anche tutte quelle persone che hanno bisogno che il mondo della cultura sia pronto a dare risposte quando la vita lo rende necessario.

Nella Svizzera italiana esiste solo un’ultima redazione culturale ricca di personale e di infrastrutture ed è, appunto, quella di Rete 2. La magia del servizio pubblico è anche questa, chiede un contributo a tutti i cittadini per tenere vivo un atteggiamento che non deve per forza essere al centro degli interessi della maggior parte della popolazione. Seguire le mostre, i concerti, la programmazione cinematografica e culturale, gli spettacoli di danza, le pubblicazioni di narrativa, di poesia, i saggi letterari, storici. È un mondo vastissimo, che richiede sforzi, competenze e risorse. Dare credito e importanza alla vita culturale del paese non è solo parte del mandato pubblico, è anche un atto di pazzia, la pazzia di chi crede che la conoscenza sia un bene, sia bella in sé, a chi crede che il successo non risieda solo nel numero degli ascoltatori e delle risate a basso costo, ma anche nella lenta costruzione del senso e del sapere.

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