I dibattiti

Un’iniziativa per il rispetto dei diritti umani

L’iniziativa per multinazionali responsabili vuole regole vincolanti che impegnino le aziende svizzere a rispettare ovunque i diritti umani e le norme ambientali

(Keystone)

Succede che pure i potenti della terra – di questi tempi, direi soprattutto loro – dicano delle clamorose sciocchezze. Anche i nostri governanti non si risparmiano: come quel consigliere federale – vi ricordate?- che in Africa blandì la multinazionale svizzera, sotto accusa per reati ambientali e contro i diritti umani. Un suo collega di governo qualche tempo dopo si sforzò di chiarire – il succo è quello – che economia e diritti umani sono due cose diverse. C’è poi da annotare la recente esibizione di un’altra ministra che respinge le pericolose sperimentazioni proposte con l’iniziativa per multinazionali responsabili: sarebbe un’unicità a livello mondiale che sfavorirebbe le grandi imprese svizzere e i loro investimenti. La logica di quel ragionamento suggerisce che i diritti umani non sempre godono di priorità assoluta e c’è chi pensa che si possano smussare quando la competitività lo esige: troppo rigore (ossia troppa assidua attenzione ai diritti umani) – precisò un manager – può compromettere la catena produttiva. Piuttosto avvilente come conclusione.

La dignità umana messa a dura prova

Ma di che cosa parliamo, in concreto, quando evochiamo la salvaguardia dei diritti umani? Di bestiale sfruttamento dei bambini, di attività predatorie delle risorse dei Paesi africani o del Sud America, di avvelenamento e devastazioni dell’ambiente, di politiche economiche spregiudicate a totale dispregio della dignità delle persone: di questo parliamo. E non esagero: cito semplicemente uno studio recente che, con verifiche puntuali, dimostra come quasi una volta al mese (64 gravi infrazioni negli ultimi 6 anni) qualche azienda svizzera all’estero viola i diritti umani e le norme ambientali. Il costituzionalista Sabino Cassese, che i problemi li conosce bene per aver operato in organismi internazionali, si pone una domanda cruciale: “A che punto siamo con la protezione internazionale di questi diritti, e verso quali sentieri si indirizzano ora gli Stati? Si progredisce, anche se gradualmente, o ci si limita a infervorarsi di parole altisonanti, mentre gli individui soffrono nelle carceri, nei luoghi di lavoro, nelle strade, nei ghetti, perché affamati, seviziati, torturati o discriminati? E soprattutto: cosa possiamo fare noi, semplici cittadini di Stati sovrani, se non vogliamo restare indifferenti? Un’amara constatazione: mai come oggi la dignità umana è messa a dura prova; mai come oggi l’universalità della carta dei diritti umani del 1948 è contestata e considerata, da movimenti e partiti politici, carta straccia; mai come oggi si ha l’impressione che per cerchie cospicue di persone il concetto di “umanità” e di “universalità” stia subendo una contrazione vistosa, tanto che certi principi sembrano valere solo per noi occidentali.

I nuovi schiavi

Kevin Bales, autore di numerosi studi sui nuovi schiavi e coautore di Global Slavery Index, osserva come non ci sia luogo della terra in cui bambini, donne, uomini – merce umana di poco prezzo nell’economia globale – non continuino a “lavorare e sudare e soffrire”. E lo studioso inglese aggiunge che oggi “non si tratta di possedere un essere umano come nelle forme tradizionali di schiavitù, ma di averne il totale controllo”. I nuovi schiavi sono strumenti ‘usa e getta’ per fare denaro. Insomma l’abolizione giuridica della schiavitù non è coincisa con la sua reale scomparsa: nel mondo i nuovi schiavi sono circa 45 milioni e una parte di loro lavora nella filiera produttiva che fa capo alle grandi multinazionali, alcune svizzere.

La ‘deumanizzazione’

Ogni giorno, ogni maledetto giorno, si cumulano gli esempi di come la dignità delle persone sia schiacciata dai predatori economici. Eppure, quando la violazione di questi diritti riguarda altri Paesi, in primis quelli a sud dell’Europa, noi restiamo indifferenti e voltiamo la faccia dall’altra parte. Perché? Leggete il volumetto di Chiara Volpato e lo capirete: la nostra indifferenza si chiama “deumanizzazione”: quelli là, i lavoratori sprofondati nei miasmi delle miniere, i bambini sfruttati bestialmente nelle piantagioni di cacao o le donne nelle fabbriche tessili, sono privati della loro umanità, ridotti a un aggregato anonimo, senza sentimenti: “Une humanité jetable”. E così noi occidentali, preoccupati di salvaguardare il nostro benessere, e chiusi nel nostro confortante egoismo, tolleriamo fuori dalla Svizzera e fuori dall’Europa, ciò che non ammetteremmo mai a casa nostra.

Partigiani dei diritti umani

Questa lunga premessa per dire cosa? Semplicemente che l’iniziativa per multinazionali responsabili è un atto dovuto, un piccolo contributo per ristabilire, in un’epoca come la nostra di esclusioni e intollerabili diseguaglianze, quella che Bobbio definiva l’“età dei diritti”. Un caro amico con cui discuto di queste cose approva, ma vuole confrontare le tesi in discussione. L’ho rimbrottato perché quando di mezzo vi è la salvaguardia dei diritti umani e la dignità delle persone c’è una sola strada percorribile dalle nostre coscienze. Se debbo approvare un’iniziativa per contrastare chi, in barba alle leggi internazionali e per profitto, vuole ridurre degli esseri umani a “hommes, femmes, enfants jetables” non ci sono opzioni possibili: bisogna essere assidui partigiani dei diritti umani e il solo pensare che vi possano essere alternative è già di per sé riprovevole. Ma la nostra epoca purtroppo conosce una vistosa regressione culturale e morale. Dovremmo cominciare a considerare il concetto di umanità come sinonimo di comunanza globale e universale, estesa a tutti gli esseri umani del pianeta e dare a tutti gli stessi diritti e stessi doveri. Oggi il Noi che dovrebbe accomunarci è un Noi che divide e separa, che si contrappone agli Altri, a quelli che stanno fuori, all’“humanité jetable”.

Fratelli tutti

Quel gigante di umanità che è papa Francesco si è occupato della questione nella sua ultima Enciclica, Fratelli tutti. Condanna l’economia dell’inequità che uccide e auspica un’economia amica delle persone e di tutti. Perché, ci dice, “ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale”. E condanna chi mira “alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi”. Ma è dura la battaglia perché i rapporti economici e finanziari che reggono l’economia e la finanza in quella direzione vanno.

Senza scappatoia

L’iniziativa per multinazionali responsabili vuole regole vincolanti che impegnino le multinazionali svizzere a rispettare ovunque i diritti umani e le norme ambientali, e se non lo fanno debbono rispondere giuridicamente per i reati commessi: tutto qui. Ma le lobbies delle grandi multinazionali che dominano in parlamento si oppongono e prevalgono; e allora tocca al cittadino responsabile reagire e comunque percepire finalmente che, quando il nostro benessere dipende dal malessere di altri, dar la colpa alla globalizzazione è la scappatoia della nostra cattiva coscienza.

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