Il dibattito

La discussione sulla 'C'

Questa riflessione sui fondamenti del nostro vivere comune coinvolge da un lato il partito, ma anche la società nel suo insieme

7 ottobre 2020
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Silvano Toppi, sulla Regione di sabato, si sofferma sulla proposta del PPD svizzero di cambiare nome, rinunciando alla “C” presente nelle denominazioni tedesca e francese. Toppi si interroga sui motivi di questa proposta e formula tre ipotesi: 1. essere cristiani coerenti è troppo impegnativo e si finisce per essere considerati di sinistra; 2. a dirsi cristiani si rischia di essere accomunati a certi integralisti “civil-nazionalisti” di destra; 3. si vuole consacrare il centrismo perché non si ha più nulla da dire. La prima ipotesi è giusta nella premessa (essere cristiani è molto impegnativo, come dimostra lo scarso numero di sante e santi), ma è sbagliata nella conclusione (un cristiano coerente sarebbe di sinistra). La dottrina sociale della Chiesa contiene principi che possono suonare come dolce melodia a orecchie di sinistra, ma pure concetti che alle stesse orecchie stridono come forchette sui piatti, per esempio: “l'azione dello Stato e degli altri poteri pubblici deve conformarsi al principio di sussidiarietà e creare situazioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica” (Compendio, n. 351). La seconda ipotesi (togliere la C per evitare di essere confusi con gli integralisti di destra) potrebbe essere ragionevole in certi Paesi dove i simboli religiosi sono impiegati con una certa irresponsabile disinvoltura (Italia, Stati Uniti, ecc.), ma non mi sembra che in Svizzera vi sia mai stato un uso politico distorto dei valori cristiani. Il pensiero sociale cristiano, per la sua complessità, non può del resto essere classificato con sbrigative etichette di sinistra o destra. Piuttosto, va riconosciuto che sia la sinistra (per gli aspetti di solidarietà e universalismo), sia la destra (per quelli di libertà o di biotetica) si sono spesso ispirati agli insegnamenti evangelici. Il difficile, e qui Toppi ha ragione, è prendere tutto, e non solo quello che fa più comodo o che risponde meglio alle proprie inclinazioni. Veniamo alla terza ipotesi, che mi sembra anche la più insidiosa, almeno per un partito politico: accontentarsi di galleggiare nel presente come un turacciolo, invece di solcare le onde verso terre di speranza. Qui si innesta la questione di sapere se la discussione sulla “C” ha l’obiettivo (pragmatico e legittimo) di trovare una denominazione elettoralmente più accattivante o se invece sono in discussione i valori implicati in quella “C”.

Questa riflessione sui fondamenti del nostro vivere comune coinvolge da un lato il partito, ma anche la società nel suo insieme. Perché, come diceva un vecchio democristiano, non basta avere regione: bisogna avere anche qualcuno che te la dia.

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