Il dibattito

Facciamo correre la nostra scuola dell’obbligo

Dopo avere raccolto con pazienza i cocci della riforma «La scuola che verrà», pensiamo di essere riusciti a dare una mano alla scuola dell’obbligo, per avvicinarla il più possibile ai problemi e ai talenti di ogni giovane.

Ogni mattina, un politico di sinistra si alza sapendo che la scuola è l’unica opportunità di non uscire dalla crisi con una società irreparabilmente spaccata fra ricchi e poveri. Ogni mattina, un politico di destra si alza sapendo che la scuola è l’unica speranza di dare un futuro alla generazione chiamata a pagare il prezzo della pandemia. Che tu sia un politico di destra o di sinistra, nella Svizzera del 2020, ogni mattina ti alzi sapendo che dovrai fare correre la nostra scuola – perché restare fermi non è più un’opzione. L’istruzione è la materia prima più preziosa di questo Paese, ce lo dicono fin da quando siamo bambini. Un Parlamento cantonale, come quello del quale faccio parte, ha il dovere di costruire ecumenicamente, senza logiche di partito, il migliore sistema educativo possibile. All’ultima sessione del Gran Consiglio, rispondendo a questa missione, abbiamo ottenuto un risultato significativo per la nostra scuola dell’obbligo. La Commissione formazione e cultura ha infatti presentato una soluzione per migliorare il messaggio governativo, riguardo alle misure per le scuole comunali e le scuole medie.Per farlo, abbiamo discusso con le persone che sono direttamente coinvolte nell’insegnamento: docenti, direttori, funzionari del Cantone e municipali. Non è stato tutto facile, perché il «mondo della scuola» è molto eterogeneo, fra Airolo e Chiasso. Avremmo potuto tergiversare, rimandando ogni intervento a quel «coperchio per tutte le pentole» che sta diventando la riforma «Ticino 2020». Alla fine, però, ha prevalso il coraggio e siamo riusciti a rispettare l’obiettivo comune che ci eravamo dati, ovvero decidere entro la fine di settembre.


Il dato di partenza è che la nostra scuola pubblica non è al collasso: le serve però un aiuto, per affrontare un contesto sociale molto, molto più complesso rispetto a soltanto un paio di decenni fa. Avvicinare l’insegnante agli allievi è una delle sfide più importanti, per permettergli di calibrare il più possibile il suo messaggio sulle esigenze del singolo alunno – da Jetmir che ha in tasca le chiavi di casa e parla a malapena l’italiano a Piercasimiro, figlio di laureati con tata bilingue al seguito. Per ottenere questo obiettivo, visto lo scetticismo dei Comuni sulla diminuzione generalizzata del numero di allievi per classe, abbiamo deciso di potenziare la figura del docente di appoggio: la sua presenza al 50% sarà assicurata nelle classi delle scuole dell’infanzia con 21 o più allievi e nelle classi delle scuole elementari, a partire da 23 allievi (21 allievi nelle biclassi e ovunque nelle triclassi). Perché ci siamo concentrati sui docenti? Perché anche nel XXI secolo la qualità della scuola è soprattutto una questione di persone. La scuola va costruita attorno agli allievi, e gli insegnanti sono i muri che la tengono in piedi. Per questo ci siamo impegnati, tra l’altro, affinché i Comuni permettano alle docenti di scuola dell’infanzia di prendersi una pausa, riconoscendo quanto «assorbenti» siano i bisogni di bambine e bambini (da padre, ne so qualcosa!). Quanto alle scuole medie, i laboratori (in italiano, matematica e tedesco) daranno slancio al rapporto fra allievi e docenti, e la Commissione ha ritenuto praticabile diminuire a 18 il numero massimo di allievi nei corsi base, e a 22 nell’insegnamento comune e nei corsi attitudinali (matematica e tedesco).

È ovvio che non si tratta di una «rivoluzione copernicana dell’insegnamento ticinese», e che questi piccoli miglioramenti non ci varranno un busto accanto a quello del Franscini. Eppure, dopo avere raccolto con pazienza i cocci della riforma «La scuola che verrà», pensiamo di essere riusciti a dare una mano alla scuola dell’obbligo, per avvicinarla il più possibile ai problemi e ai talenti di ogni giovane.

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