I dibattiti

Ancora una volta: chi sono i cattivi?

I pagamenti diretti agli agricoltori non sono sussidi, ma prestazioni per un lavoro a favore di tutti

Robert Aerni (foto Ti-Press)

Leggere certi articoli indispettisce il mondo contadino. Mi riferisco in particolare a quello apparso sulle pagine de laRegione di sabato 12 settembre. Gia il titolo è sintomatico: "I sussidi che fanno male all'ambiente". Non conto più le volte che abbiamo provato a farlo capire a tutti, eppure questa parola 'sussidi' torna sulle pagine dei giornali con una frequenza disarmante. Lo ripeterò ancora una volta: almeno per quanto riguarda l'agricoltura si chiamano 'pagamenti diretti' e vengono corrisposti in cambio di determinate prestazioni, richieste dalla società. Un contadino, per ricevere i pagamenti diretti, deve fare un lavoro ben preciso, fornire una prestazione e in cambio riceve poi un pagamento per il lavoro fatto. Se lo facesse però un'azienda privata, lo stesso lavoro costerebbe alla comunità almeno 10 volte tanto. È vero che nel calderone dei 'sussidi' entrano anche i trasporti, il turismo, lo sviluppo urbano, però io non so bene come funzionano questi settori. So invece come funzionano i pagamenti diretti in agricoltura e credo di saper fare bene il mio lavoro.

Se poi arrivo alla seconda parte del titolo, che sostiene che "fanno male all'ambiente", lì si arriva veramente all'assurdo. Posso affermarlo con tranquillità, e non è difficile da dimostrare, perché ormai sono più di cinquant'anni che faccio il contadino, con passione e dedizione, una parte dei pagamenti diretti ormai i contadini li ricevono più per misure a sostegno dell'ambiente e della biodiversità che per la produzione agricola vera e propria. Va anche detto, che io, come tanti altri contadini, abbiamo sposato questa nuova 'visione' al fine di trovare dei compromessi e 'nuovi equilibri'. Da quattro anni abbiamo riorientato la nostra azienda al bio, rinunciando a quasi il 30% della nostra superficie coltiva a favore di fasce tampone, per la famosa biodiversità. La nostra azienda si trova vicino alle Bolle di Magadino, "uno degli ultimi esempi di delta in Svizzera dove, almeno in parte, si sono conservati degli ambienti naturali" e sono stati anche gli sforzi che abbiamo fatto noi per "riorientare la nostra attività che hanno contribuito a questo risultato, come ad esempio la costruzione di recinti da protezione delle coltivazioni che poi vanno gestiti e il pagamento di una guardia campo nei periodi di semina del granoturco per evitare che se lo mangiassero tutto gli uccelli. Questi costi però sono solo in minima parte rimborsati. Ho fatto solo alcuni esempi per chiarire che cosa significa per un'azienda agricola sposare queste nuove 'filosofie' e a leggere certi articoli ci si sente davvero presi per il naso, Tutto quello che facciamo noi contadini non basta mai.

L'articolo parte da un recente studio diffuso dal Wsl, l'Istituto federale di ricerca sulle foreste e il paesaggio. Io sono davvero stufo di questi studi 'scientifici' che atterranno, già ritagliati da esperti della comunicazione, sulle pagine dei giornali e che presentano una versione dei fatti del tutto parziale e strumentale, come una realtà oggettiva e impossibile da mettere in discussione. Nessuno che si chieda chi li commissiona questi studi? E con quali scopi? Birdilife e ProNatura: certamente lo sanno! Per quel che riguarda invece il Piano di Magadino, mi sembra piuttosto chiaro l'obbiettivo: si punta a fa diventare tutta la zona del Parco del Piano una zona naturalistica. Avanti di questo passo arriveremo a dover accettare di buon grado che i cortili delle nostre case e delle nostre fattorie vengano inondati dell'acqua esondata del fiume Ticino. Ma stiamo scherzando? Nell'articolo citato, i sedicenti esperti parlano di utilizzare colture resistenti alla piena del fiume. Ecco, io vorrei proprio sapere quali sono. I salici piangenti forse?

A questo punto sarebbe più onesto che ci dicessero: "basta, l'agricoltura in Svizzera non si pratica più perché preferiamo acquistare cereali importanti da paesi dove per gestire 40mila ettari bastano dieci persone". Con buona pace di tutti, foresta amazzonica compresa. Basta soia, mais, grano, vino, latte e formaggio svizzeri, basta campi, basta animali all'alpe, solo zone naturali preservate e di svago, che non contribuiscono a salvare il pianeta, ma permettono a chi abita in città di "staccare", farsi la corsetta o il giro in bici. 

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