Il dibattito

Riflessioni su un cambiamento d’epoca

Questa pandemia per gravità non è certo paragonabile in toto a una guerra, ma in qualche modo ci troviamo di fronte a un bivio che può avere esiti analoghi al primo o al secondo dopoguerra novecentesco  

(Ti-Press)
9 luglio 2020
|

Gli ultimi dati sul corso della pandemia, sia svizzeri che globali, ci costringono a riflettere. Nel nostro Paese si è tornati sopra i cento contagi e sono ricominciate anche le ospedalizzazioni, a dimostrazione del fatto che le chiacchiere sul virus depotenziato dal caldo estivo o da chissà quale altra magia sono spazzate via dalla pura e semplice statistica: salgono i contagi, perché appena cerchiamo di tornare a vivere “come prima” il fatidico R0 (numero di contagiati per ogni persona infetta) ricomincia a salire (siamo ormai vicini al 2, a marzo eravamo a circa 4, a giugno eravamo scesi a 1).
Gli epidemiologi più realisti ci stanno pronosticando un autunno pieno di insidie, con la curva del covid19 che scalerà nuovi picchi, mescolata per giunta alle curve di molteplici famiglie di altri coronavirus e di rinovirus meno malefici ma pronti ad aggredirci come d’abitudine nella stagione fredda con sintomi compatibili a quelli del SARS-CoV2 che creeranno equivoci diagnostici da far girare la testa (a quanti test dovremo sottoporci?).

Siamo noi i veri protagonisti

Ragioniamo. Possiamo ridurre tutto alla necessità di riaccendere i motori dell’economia affidandoci, per sconfiggere il virus, alla scienza medica e alle sue applicazioni? No, perché, se anche arrivassero i vaccini (nel 2021, prima è irrealistico congetturarlo), l’esperienza più solida fatta fin qui ci dice qualcosa di semplice: il vero antidoto alla pandemia sono stati dei banali gesti di barriera, come l’allontanamento tra noi, la disinfezione, il porto delle mascherine, gesti affidati alla responsabilità solidale di ciascuno di noi (abbiamo scoperto infine che i noiosi richiami dei Merlani e dei Koch non erano affatto retorica). Anche nel prossimo futuro saranno questi gesti a contare molto più di una scienza e di una tecnica medica colte alla sprovvista dal virus cinese e ancora intente ad annaspare (con l’eccezione delle prese a carico ospedaliere e del riscoperto ruolo decisivo della medicina territoriale di prossimità: qui, è vero, qualcosa di utile l’abbiamo imparato).
Ragioniamo. Riaccendere i motori dell’economia, portandoli al massimo? Prima di tutto siamo così interdipendenti a livello globale che fintanto che “gli altri” non saranno tornati a far girare al massimo i loro motori ci sarà poco da esportare, e questo vale soprattutto per una Paese come la Svizzera che fonda buona parte del suo benessere sull’esportazione dei suoi prodotti. E poi: è questa economia che vogliamo riprodurre pari pari? Eravamo giunti, nel 2019, a capire che la sostenibilità di questo modo di produrre e consumare non reggeva, per motivi ambientali. Quello che ancora non abbiamo messo a fuoco è che la sostenibilità senza la giustizia sociale è un miraggio utile forse solo a ingrossare le (benemerite) formazioni politiche ambientaliste ma non a guarire un mondo malato. Le grandi aziende globali, del resto, hanno già scoperto come riverniciarsi di verde (magari con la truffaldina compra-vendita di quote di CO2, oppure trasferendo le lavorazioni “sporche” in India o in Cina). È questa “economia degli scarti” (umani) quella che vogliamo lasciare in eredità alla prossima generazione?

Ragioniamo. Qui non siamo fautori della “decrescita felice”, la globalizzazione può essere corretta, forse ridimensionata, governata meglio, ma è irreversibile. E dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che la circolazione globale vale per la comunicazione, vale per le catene del valore, vale per la finanza ma vale anche per i virus. Ci dovremo fare i conti.

Il passaggio di mano generazionale

Riflettiamo. Se siamo davvero in mezzo al guado di un cambiamento d’epoca, come noi crediamo, sappiamo che il mondo costruito dalle generazioni del secondo dopoguerra è agli sgoccioli. Quel che sarà il mondo nuovo non lo sappiamo. Toccherà alla nuova generazione costruirlo, senza illusioni. E sarà diverso. Noi europei non siamo la Cina, grazie a Dio. Lasciamo in eredità ai nostri giovani il bene incommensurabile della libertà e quello conseguente della democrazia. Non siamo neppure gli Stati Uniti, anche se li abbiamo generati e vi siamo legati. Ma abbiamo, in particolare, un welfare (uno Stato sociale, insomma un patrimonio di giustizia e solidarietà) che il resto del mondo non può che invidiarci.
Spetterà a chi oggi è tra il 15 e i 40 anni entrare in una nuova epoca. Compito di chi sta passando la mano non è solo e prima di tutto evitare che vadano perse le grandi conquiste accennate ma soprattutto educare la nuova generazione. Educare è una parola decisiva. Non significa preservare una bolla dentro la quale i giovani possano evitare la loro fatica. Hanno le stesse nostre risorse umane, ma spetta a noi introdurli alla realtà. Anche facendo tesoro di alcune cose che questa grande crisi sanitaria ed economica ci ha insegnato, mettendoci in ginocchio ma anche facendo emergere risorse di umanità e di solidarietà che ci hanno sorpresi. Non dovremo dimenticarcene. Abbiamo capito, per fare solo un esempio, che non tutto quello che avevamo accumulato era necessario per vivere bene, tant’è vero che ce ne siamo privati senza traumi, scoprendo modi di vita più sobri e autentici.
Chiudiamo questa riflessione con un paragone che può far tremare le vene e i polsi ma che contiene qualcosa di vero. È il sociologo Mauro Magatti che l’ha arrischiato. Dopo la Prima Guerra mondiale i problemi che l’avevano causata non sono stati colti e affrontati con una mentalità nuova ma hanno continuato ad avvelenare i popoli e le nazioni, generando ideologie mortifere e conducendo a una guerra ancor più devastante. Dopo la Seconda Guerra una generazione più consapevole e decisa ha costruito un mondo che, senza essere il paradiso in terra, ha prodotto larghi squarci di benessere e di libertà. Sia chiaro, questa pandemia per gravità non è certo paragonabile a in toto a una guerra, ma in qualche modo ci troviamo di fronte a un bivio che può avere esiti analoghi al primo o al secondo dopoguerra novecentesco.
 

 

 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE