Il dibattito

La rimozione di statue, una costante in momenti di crisi!

Ultimamente mi sembra che il perbenismo interessato (per dirla con Guccini) abbia superato i livelli di guardia

17 giugno 2020
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La Rochefoucauld (1613-1680) sosteneva che “l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù”. Sono trascorsi più di trecento anni, ma la massima non ha perso nulla della sua attualità. Ultimamente mi sembra che il perbenismo interessato (per dirla con Guccini) abbia superato i livelli di guardia. Non mi soffermerò sulla recente querelle dei “moretti”, che mi sembra un misto di fraintendimenti e scrupoli paranoicali. Trovo decisamente più interessanti le discussioni attorno alla rimozione di statue o alla messa al bando di libri e film (e relativi scrittori e registi). In estrema sintesi si tratta di stabilire quali “criteri d’entrata” vogliamo stabilire per accedere allo spazio pubblico o per essere ricevuti “in società” . In questo campo ho assistito a un netto cambiamento di prospettiva rispetto a qualche anno fa. Nel 2014, per esempio, si è innescato un vivace dibattito pubblico sull’opportunità che il Festival del film di Locarno premiasse Roman Polanski. Chi riteneva discutibile che si omaggiasse una persona accusata di aver stuprato una minorenne veniva generalmente liquidato alla stregua di un inquisitore invasato. Oggi, sarebbe probabilmente impensabile premiare chiunque avesse anche solo fatto un apprezzamento fuori posto (cfr.. le polemiche relative al comportamento dell’attore Alessandro Haber a Castellinaria 2019). Il tema è delicato e può sfuggire rapidamente di mano. La rimozione di statue, monumenti e intitolazioni (di strade, aeroporti, ecc.) è una costante nei momenti di crisi, cioè quando in una società è confrontata a cambiamenti bruschi e fondamentali. Massimo Antonini, sulla Regione di lunedì, ha opportunamente citato alcuni esempi storici (le reliquie dei santi distrutte dai calvinisti durante la riforma, le statue di Napoleone abbattute durante la Comune parigina, ecc.). In tempi più recenti possiamo citare, nel 2001, la distruzione di statue buddhiste in Afghanistan da parte dei talebani, per evitare che fossero “onorate” dagli “infedeli”. Questi atti, per quanto indegni, rispondono a un’esigenza abbastanza comprensibile: chi ha faticato per assumere il potere (spargendo spesso sangue proprio e altrui) non può permettersi che le strade, le piazze e i palazzi siano disseminati di simboli del regime precedente. In assenza di rivoluzioni (o restaurazioni), faccio invece fatica a capire l’odierna pretesa di fare le pulci ai monumenti eretti dai nostri antenati. Dubito che qualcuno, transitando davanti a una statua di Churchill, ritenga che la società inglese d’allora volesse onorare i suoi pregiudizi razziali. Per lo stesso motivo, immagino che gli omaggi resi da Cuba a Fidel Castro non abbiano nulla a che vedere con le sue opinioni sull’omosessualità. Sono convinto che viviamo in una società abbastanza matura da cogliere la complessità della storia e della vita; e quindi, salvo casi eccezionali, credo che possiamo sopportare che alcuni illustri scomparsi non fossero del tutto impeccabili. Un discorso a parte meritano le richieste di “istruzioni per l’uso” e “contestualizzazioni” (quando non addirittura di censura) di opere artistiche colpevoli di veicolare messaggi poco aderenti al comune sentire. Recentemente si è parlato di “Via col vento”, a cui si rimprovera una visione edulcorata dello schiavismo, ma potrebbe valere per “La caduta – gli ultimi giorni di Hitler” (2004, con il grande Bruno Ganz), in relazione al quale la stampa tedesca si domandò: «siamo autorizzati a mostrare il "mostro" [Adolf Hitler] come un essere umano?», o per diversi libri di André Gide fin troppo comprensivi con la prostituzione minorile. Qualcuno, potrebbe anche chiedersi se sia lecito che un’opera lirica lasci intendere che “la donna è mobile / qual piuma al vento / muta d'accento - e di pensiero” (per non parlare del resto del “Rigoletto”; in rete si trova qualche critica). Oppure se “Lettera a un bambino mai nato” della Fallaci non generi eccessivi sensi di colpa. La preoccupazione sugli effetti di un’opera culturale è certamente comprensibile (la Chiesa intrattenne per qualche secolo, con scarsi risultati, un elenco di libri problematici), ma è pericoloso che lo Stato si metta a sindacare su quali messaggi possa veicolare o meno un’opera d’arte, anche perché questo esporrebbe la cultura alle mode del momento, impoverendola. La libertà d’espressione è uno dei beni più preziosi che abbiamo e dobbiamo accettare che alcune opinioni feriscano, anche in profondità, i valori che ci sembrano più indiscutibili. Per tutelare questi stessi valori mi sembrano peraltro più efficaci concrete misure a tutela della dignità dell’uomo e della donna (p. es. l’aumento delle pene minime per gli stupratori deciso recentemente dal Consiglio nazionale), che non mettersi in pace la coscienza setacciando biblioteche e cineteche in cerca di titoli sgraditi.

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