Il dibattito

Tra passato e futuro

La pandemia, con tutte le incertezze che ci ha portato, non deve farci dimenticare l'importanza culturale del nostro passato

(Ti-Press)
25 maggio 2020
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La paura di non avere un futuro ci fa dimenticare il passato; il riferimento è alla pandemia e al patrimonio archeologico di luoghi dalla civiltà millenaria. A ricordarlo dalle colonne di 'Archeologia viva' è Paolo Brusasco dell'Università di Genova e Direttore del Museo di Mosul in Iraq, ospite anni fa dell'Associazione archeologica ticinese proprio per illustrare al nostro pubblico la problematica archeologica di quel paese e del suo museo appena inaugurato. Una situazione drammatica quella del Vicino Oriente, non solo Iraq ma anche Siria e Yemen, dovuta soprattutto alle guerre striscianti che imperversano nella regione e delle quali nessuno più parla; e che coinvolgono, apertamente o meno, varie potenze: USA, Russia, Turchia, Iran. A tutto ciò si deve aggiungere il disastro che si sono lasciate alle spalle le milizie dell'Isis dopo tre anni di dominio su quelle terre. Brusasco definisce 'un'infezione dell'anima', per restare in tema, l'ideologia che ha portato alla distruzione intenzionale delle testimonianze degli antichi popoli mesopotamici, viste come simboli di un passato da cancellare dalla memoria poiché non conforme ai princìpii religiosi dei moderni fanatici. A suo tempo non mancarono le denunce di questi misfatti documentate da immagini che hanno lasciato un segno profondo negli spettatori di tutto il mondo e principalmente negli appassionati di archeologia. A questo quadro fosco per il futuro del patrimonio archeologico della regione si aggiunge la piaga dei saccheggi e del commercio clandestino di opere d'arte che continuano tuttora indisturbati.
I progetti internazionali per salvare un patrimonio che è di tutta l'umanità, per restaurare monumenti e moschee o centri storici, per ristrutturare musei e siti archeologici si sono moltiplicati ion questi anni, ma si sviluppano tra mille difficoltà politiche ed economiche. Qualche organizzazione internazionale ha proposto su Internet (in tempi di pandemia è stato fatto anche per molti luoghi storici e per musei), visite virtuali ai siti di Aleppo, Palmira, Ninive o Babilonia; come a gettare un grido di allarme affinché non vengano dimenticati i reperti materiali che giacciono a terra, quasi fossero essi stessi infetti da un virus. Lo Smithsonian Institute di Washington lavora su un progetto di recupero della capitale assira di Nimrud; la Fondazione dell'Aga Khan e gli Emirati arabi uniti hanno messo soldi per la ricostruzione di moschee e chiese a Mosul il cui centro storico è minacciato dalla speculazione edilizia, mentre diverse università affrontano singole situazioni con mezzi limitati: tra queste le Università di Firenze e Udine che operano per lo studio e il recupero di opere del museo di Baghdad nonché del sito di Ebla. Quello che forse manca è il coordinamento di queste iniziative, che trarrebbero giovamento dall'essere riunite sotto un cappello comune internazionale, in grado di contrastare gli interessi politici, economici e militari che sono in gioco in quella zona del mondo.
La pandemia insomma, con tutte le incertezze che ci ha portato, non deve farci dimenticare l'importanza culturale del nostro passato. Anzi, se possibile deve essere uno stimolo a tenerlo ancora in maggior considerazione, non solo idealmente ma nei fatti, proprio perché ci ha dimostrato come in poche settimane molti dei nostri valori possano essere messi in discussione o addirittura andare in frantumi.

 

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