Lugano

Ridare un senso alla parola comunità

Gli abitanti del villaggio gallico dei fumetti sono dediti soprattutto a due cose: litigare tra loro (si fa pace al banchetto finale) e resistere sempre e comunque all’invasore; nel villaggio gallico in riva al Ceresio in cui abito da sempre pure. Con alcune differenze: i nemici variano a dipendenza dell’opportunità e del momento politico – prima i favorevoli alla tassa sul sacco, poi i contrari all’aeroporto, adesso i contrari al nuovo Polo sportivo – mentre i litigi non finiscono mai. Peccato, perché con la crisi attuale (sanitaria, economica e sociale) ci si aspetterebbe da chi ha la responsabilità di governare un’altra attitudine, fatta di leadership, visione d’insieme e un’idea (un sogno?) di futuro. Che è quello che manca a Lugano. Perché fare politica non significa dividere e combattere contro, ma unire e lottare a favore: della cosa pubblica ovviamente, ossia di tutta la comunità che lì vive. E il luogo di vita di una persona può restare tale solo se si riesce a nutrirlo sul piano emotivo e relazionale. Lugano da questo punto di vista ha perso negli anni, grazie a dissennate politiche pianificatorie (ma non solo), praticamente tutti quegli spazi pubblici, quei luoghi deputati all’incontro e alle relazioni sociali che contribuiscono a formare l’identità di una città e a renderla comunità nel senso profondo del termine – non è un caso che l’ultima piazza costruita, quella di Molino Nuovo, risale alla metà del secolo scorso. Ne consegue che una politica saggia e previdente dovrebbe mettere in atto tutte quelle misure – solo per citarne alcune: più verde e meno cemento, più alloggi, persone e piccoli commerci in centro, lungolago pedonalizzato e lago valorizzato – affinché anche a Lugano la parola comunità non si legga solo sugli slogan elettorali, ma riacquisti un senso vero e compiuto. È un sogno; il mio.

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