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Pugno duro di Teheran sulle proteste: 5 condanne a morte

Manifestanti ancora in piazza per ricordare il ‘novembre di sangue’

Manifestazione a Berlino (Keystone)
16 novembre 2022
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Cinque condanne a morte in tre giorni. L’Iran ha iniziato a emettere sentenze a ritmo sostenuto contro i quasi 16 mila manifestanti finiti a processo per le proteste esplose oltre due mesi fa dopo la morte di Mahsa Amini, la ventenne di origine curda che ha perso la vita mentre era in arresto per non aver indossato correttamente il velo. Le ultime tre riguardano un uomo condannato alla pena capitale per aver aggredito poliziotti con la sua auto, uccidendone uno, un altro per aver accoltellato un agente di sicurezza e un terzo per aver cercato di bloccare il traffico e diffondere "terrore", ha fatto sapere la Magistratura iraniana.

Il ministro dell’Interno Ahmad Vahidi ha intanto riferito che alcuni "agenti dei servizi segreti" francesi e un gruppo con membri "legati all’Isis" sono stati arrestati durante le dimostrazioni. "I nemici hanno tentato di creare insicurezza in Iran e di fermare il progresso scientifico del Paese ma hanno fallito", ha tuonato Vahidi ribadendo le condanna di Teheran contro le critiche dei Paesi occidentali per la repressione che il regime degli ayatollah ha bollato come "interferenza" nei propri affari interni. Il ministero degli Esteri iraniano ha convocato l’ambasciatore australiano in Iran, Lyndall Sachs, come era già successo al capo della missione diplomatica tedesca nei giorni scorsi, per protestare contro le critiche, definite da Teheran "interventiste", da parte del premier dell’Australia Anthony Albanese sulla mano dura contro le dimostrazioni.

Chiuso il Gran Bazar

Nel frattempo le piazze, le strade e le università di varie città iraniane continuano ad essere il teatro della protesta che prosegue giorno e notte e che oggi è entrata nel suo terzo mese. Oltre alle dimostrazioni per Mahsa Amini, da ieri le manifestazioni hanno coinvolto anche iniziative per commemorare le oltre 1500 persone morte nelle rivolte di novembre 2019, scatenate dall’aumento dei prezzi del carburante e di cui in questi giorni cade il terzo anniversario. Negozi e mercati di varie città del Paese, tra cui il Gran Bazar di Teheran, hanno tenuto le serrande chiuse anche oggi in segno di protesta per quello che viene ricordato come il "novembre di sangue".


I negozi chiusi per solidarietà verso i manifestanti a Teheran (Keystone)

E le nuove dimostrazioni portano con sé nuove repressioni: sui social media, alcuni video mostrano le forze di sicurezza aprire il fuoco sulla folla in una stazione della metropolitana di Teheran, e alcuni agenti di polizia picchiare le donne senza il velo obbligatorio sui vagoni del servizio di trasporto. Sempre nella capitale, le forze dell’ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni e armi da fuoco contro i manifestanti presso il mercato del ferro, cercando di costringere con le minacce i commercianti in sciopero ad aprire i negozi chiusi. Tra le persone arrestate molti universitari, mentre a 150 studentesse dell’ateneo femminile Alzahra è stato vietato di entrare in facoltà. "Giureremo sul sangue delle nostre amiche, resisteremo fino alla fine", è stato uno degli slogan cantati dalle ragazze che chiedevano il rilascio di compagne di classe imprigionate.

E scorre il sangue anche nella città sud-occidentale di Izeh, dove cinque persone sono state uccise e dieci sono rimaste ferite dopo che "terroristi" sono arrivati su due moto in un mercato e hanno aperto il fuoco su manifestanti e funzionari della sicurezza, ha riferito un funzionario citato dall’agenzia ufficiale Irna. Secondo i dati dell’agenzia degli attivisti dei diritti umani dell’Iran, Hrana, da quando le proteste sono iniziate almeno 348 persone hanno perso la vita, tra cui 52 minori e 38 membri delle forze di sicurezza.

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