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L’ingordigia di Donald Trump, il ri-candidato

L’ex presidente americano correrà per le presidenziali del 2024, e come Berlusconi si aggrappa al potere per salvare il suo impero e ingigantire l’ego

Donald Trump durante l’annuncio (Keystone)
16 novembre 2022
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"E il più grande conquistò nazione dopo nazione/e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione/perché più in là non si poteva conquistare niente/e tanta strada per vedere un sole disperato/e sempre uguale e sempre come quando era partito/ forse non lo sai ma pure questo è amore…", cantava Roberto Vecchioni.

Ivanka Trump non sosterrà il padre Donald nella nuova campagna per le presidenziali americane del 2024, annunciata ieri. Lui forse non lo sa, ma pure questo è amore.

Proteggersi – capire quando è il momento di farsi da parte – è un’arte, un talento che è di pochi: e più soldi e potere hai, più è difficile possederlo. Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è sempre una campagna elettorale alle porte. Trump si ricandida, sempre più solo, sempre più arrabbiato, sempre più insensato ("quello che abbiamo creato in questi sei anni è il più grande movimento della storia", ha detto).

E sempre meno credibile. Proprio come Silvio Berlusconi, che è stato in tutto e per tutto Trump un quarto di secolo prima di lui, con i soldi fatti costruendo palazzi e amicizie-connivenze con la politica e la mafia (anche se a volte era difficile distinguerle), lo sport (il Milan il primo, il wrestling il secondo) e le tv (patron di Mediaset l’uno, il legame stretto con Fox l’altro) usati come riflettori per guadagnare popolarità, le donne viste e vissute come trofei da esibire, i problemi con la giustizia, gli slogan vuoti per riempire le urne, il potere economico che diventa potere politico senza un’idea di fondo che non fosse ingigantire il potere stesso per gonfiare il proprio ego e allontanare i processi.


Sostenitori di Trump a Mar-a-Lago (Keystone)

Dopo aver visto il discorso notturno con cui Trump si è ricandidato alla presidenza, ignorando i risultati penosi delle Midterm, i miti consigli di chi gli sta attorno, figlia compresa, e l’effetto boomerang che comporta talvolta la sovraesposizione mediatica; dopo aver visto le sue labbra serrate, i suoi gesti scattosi, il suo parlar d’amore senza mai incarnarlo, la risata artificiosa e tutto quell’armamentario di frasi a effetto che ormai risultano stucchevoli anche per un audience di bocca buona come quella americana, pare inevitabile la sovrapposizione con Berlusconi, un altro che berciava d’"amore che vince sull’odio" seminando odio.

Metteva le calze a rete sulla telecamera, Silvio, per apparire più giovane e bello, mentre Donald si piazza alle spalle più bandiere a stelle e strisce di quante ne possa contenere il Pentagono, per apparire più americano (ogni popolo ha le sue priorità). Hanno provato e stanno provando a fermare l’età e i giudici che avanzano raccontando la storia del "sono come voi" senza pensarlo davvero per un attimo. D’altronde sono due battutisti da vaudeville che cercano da sempre la risata non per la risata in sé (che avrebbe la sua nobiltà), ma per ingigantire l’ego, per vedere chi ride di più per tenerlo più vicino a sé. Scambiano la fedeltà con la qualità e finché la magia regge ci cascano pure gli elettori.

Ma – e veniamo al dunque – quest’ultimo Trump ingessato e indebolito, con sul leggio un faticoso discorso che tutto sommato non voleva dire niente, che prova a salvare sé stesso, provando a far credere di salvare tutti gli altri, non può non ricordare il Berlusconi furioso che in Parlamento, durante la rielezione del presidente Mattarella (di cui aveva persino provato a diventare il successore), batte i pugni sul tavolo per un ministero negato alla sua ultima fedelissima, schiuma rabbia e va a votare senza nemmeno reggersi in piedi, uscendo dalla parte sbagliata, sorretto da una collega.


Berlusconi sorretto in Parlamento (Keystone)

Sbraitano, questi vecchi ultramilionari che non sanno farsi da parte, che non vogliono solo essere i più ricchi del cimitero, ma portarsi il loro Paese nella tomba, come i re egizi facevano con i loro animali da compagnia.

Luca Bizzarri, nel suo podcast "Non hanno un amico", mette in ridicolo questi politici che inciampano in modo così plateale perché non avrebbero nessuno che gli dice dove, come e quanto sbagliano. Forse li avrebbero anche, ma è evidente che non li stanno a sentire. L’amore di cui tanto parlano nemmeno lo riconoscono, troppo presi ad amare sé stessi, a spingere il loro potere sempre più in là, come se servisse davvero a qualcosa, come se non ci fosse mai una fine, un confine, o un boccone abbastanza grosso da saziarne la fame. Se Vecchioni canta l’ingordigia italiana dei Berlusconi, Bruce Springsteen, in "Badlands", canta quella dell’America di Trump: "Il povero vuole diventare ricco, il ricco vuole diventare re e il re non è contento finché non governa ogni cosa".


Il Silvio furioso (Keystone)

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