Estero

Meloni, Salvini e la crisi diplomatica con la Francia

Storia dello scontro con l’Eliseo per l’accoglienza di una nave carica di migranti (più qualche numero per inquadrare meglio la questione)

(Keystone)
15 novembre 2022
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Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno fatto tutto da soli. Per ora possiamo spiegarci solo così la crisi diplomatica tra Roma e Parigi, scatenata dalla decisione sul porto di sbarco d’una nave carica di migranti. Ricapitolando: nelle scorse settimane la Ocean Viking di Sos Méditerranée – con a bordo 234 persone salvate da barchini a rischio naufragio, stremate e con segni evidenti di torture e stupri – si è vista rifiutare l’attracco in Italia, in violazione del diritto internazionale che impone di trasportare al porto sicuro più vicino le persone soccorse. Martedì 8 si è saputo di un accordo tra il governo italiano e quello francese per spedire la nave a Marsiglia o Tolone, notizia che il neoministro delle Infrastrutture Salvini ha subito salutato con la consueta pacatezza: "Ocean Viking, la Francia aprirà il porto di Marsiglia. Bene così! L’aria è cambiata".

Il problema è che prima lui, poi la presidente del Consiglio Meloni hanno dato come ufficiale quanto comunicato dall’agenzia Ansa, senza prima verificarlo in sede diplomatica. E infatti i francesi si sono arrabbiati parecchio: non avevano emesso alcun comunicato ufficiale (non è chiaro se vi fossero state invece mezze promesse, magari nell’incontro tra Meloni ed Emmanuel Macron alla Cop27 in Egitto). Inoltre i toni del governo italiano presentavano la cosa come una capitolazione dell’Eliseo, mettendolo in difficoltà con gli avversari interni e con gli altri partner europei. Tanto che il portavoce di Emmanuel Macron, Olivier Véran, l’ha messa giù dura: "L’atteggiamento del governo italiano è inaccettabile. Deve svolgere il suo ruolo e rispettare gli impegni europei".

‘Decisione incomprensibile’

Alla "decisione incomprensibile", come l’ha definita dall’Interno il ministro Gérald Darmanin, Parigi ha risposto con il blocco del sistema di ricollocamento dei migranti arrivati via mare, quel già fragile "meccanismo volontario di solidarietà" introdotto la scorsa estate per spostare ogni anno 10mila persone dagli hotspot italiani e greci ai Paesi più a nord. Uno strumento che alleggerisce un po’ il regolamento di Dublino, che l’Italia peraltro rispetta di rado e che impone la registrazione delle richieste d’asilo nel Paese di prima destinazione. Una reazione, quella francese, che serve anche per mettere a tacere le critiche dei sovranisti esagonali come Marine Le Pen ed Éric Zemmour, subito pronti ad accusare il loro presidente d’essere un calabraghe (arrivando così, per la proprietà transitiva, ad opporsi proprio ai loro cugini romani).

La reazione di Macron, liquidata come "aggressiva" e "ingiustificata" da Meloni, segna il primo incidente diplomatico del nuovo governo italiano, per giunta con uno dei partner Ue storicamente più vicini all’Italia. Tanto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è sentito lunedì con il suo omologo francese nel tentativo di metterci una pezza, ribadendo "la grande importanza della relazione" tra i due Paesi e condividendo "la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore".

Ora la Francia – non certo virginale nel suo trattamento dei migranti, come documentano i respingimenti a Ventimiglia e la crisi umanitaria sulla Manica – fa scendere i passeggeri della Viking a Tolone e annuncia già che ne espellerà oltre quaranta. L’Italia invece prova ad abbassare i toni e continua a cercare soluzioni fai-da-te alla questione degli sbarchi, evitando ulteriori dirottamenti e spericolate scremature del "carico residuale", questo sì, ma ipotizzando un maggiore coinvolgimento dei prefetti e un’eventuale reintroduzione di megamulte e sequestri ai danni delle Ong. Una strada già tentata ai tempi di Salvini all’Interno e del tutto inutile, visto che i tribunali italiani hanno sempre cassato queste misure giudicandole incompatibili con le prescrizioni sul soccorso del diritto superiore. Ritornano anche, per bocca di Antonio Tajani, gli attacchi senza alcune prove alle Ong: "Devono essere rispettate le regole perché un conto è il soccorso in mare, un altro è avere un appuntamento in mare con qualcuno che porta delle persone", ha detto il ministro degli Esteri italiano.

Percezione e realtà

Intanto Meloni punta a riaprire il dialogo con Macron durante il G20 in corso a Bali, ma sui social e non solo i sovranisti italiani cavalcano il consueto sentimento antifrancese, quello del tipo "aridatece la Gioconda" e "fatevi il bidet", oltre al consueto vittimismo nei confronti dell’Unione europea che lascerebbe l’Italia sola alle prese con gli sbarchi. Una narrazione quantomeno parziale. Perché certo, per molti osservatori il regolamento di Dublino è un pasticcio e il coordinamento comune è l’unica alternativa a finanziare i lager libici e rinunciare a gestire i flussi in maniera sistematica. Ma l’Italia è ben lungi dal "prenderseli tutti", come da annoso piagnisteo: ieri ‘Repubblica’, compulsando i dati dell’Agenzia europea Frontex, ricordava che in Ue "nel 2022 il numero di irregolari è aumentato del 73% fino a raggiungere quota 275’500, ma quasi la metà arriva dalla cosiddetta rotta balcanica". Va anche ricordato che nel 2021 l’Italia ha ricevuto 43’900 richieste d’asilo contro le 148’200 della Germania, le 103’800 della Francia e le 62’100 della Spagna. In proporzione alla popolazione la Svizzera, con i suoi 14’928 casi l’anno scorso, mostra un tasso d’accoglienza più che doppio (come quello tedesco). Allo stesso tempo, meno del 10% dei migranti che arrivano via mare è trasportato dalle Ong. Numeri che hanno spinto la Commissione europea a ricordare: "L’Italia è finora il primo beneficiario del meccanismo di solidarietà per la redistribuzione dei migranti". Un buon promemoria, almeno fino alla prossima crisi.

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