FILM FESTIVAL DIRITTI UMANI

Lukashenko ‘come Stalin, ma senza le fucilazioni’

Oggi pomeriggio a Lugano il film ‘Minsk’, che documenta la feroce repressione delle proteste contro il regime bielorusso. Parla un’attivista

Amici per la pelle (degli altri)
(Keystone)
19 ottobre 2022
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Ekaterina Ziuziuk non ci sta. La portavoce di Supolka, associazione che rappresenta la diaspora bielorussa in Italia, non vuole che il suo popolo sia considerato complice dei russi, ora che il governo di Alexander Lukashenko – «da sempre venduto e stravenduto a Putin» – rischia di far scivolare il Paese nel conflitto ucraino (Minsk ha già fornito ampio sostegno logistico alle truppe di Mosca, ma ora si stanno avviando esercitazioni comuni). «Il coinvolgimento dello stato bielorusso nella guerra non è questione di se, ma di quando» secondo l’autrice di uno dei capitoli del coraggioso ‘Le donne di Minsk’ (Infinito Edizioni). «Però bisogna essere chiari: i bielorussi sono ostaggi nel campo di concentramento creato da Lukashenko, non nutrono alcun odio nei confronti degli ucraini, che anzi sono come fratelli».

Proteste insanguinate

Con nove milioni di abitanti, solo 11mila soldati male in arnese, ma 110mila paramilitari e una dittatura che si trascina dal 1994, la ‘Russia bianca’ – questa la traduzione di Belarus – è rimasta nell’orbita del Cremlino anche dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica. Il governo di Lukashenko ha respinto qualsiasi riforma in senso liberale, continuando a imporre al Paese un regime dispotico in cui «lo Stato è una piovra che minaccia e controlla tutto e tutti» e la libertà non è un’opzione.

Nell’estate/autunno del 2020, tre mesi di proteste attorno alla rielezione-farsa di Lukashenko sono finiti nel sangue. Media internazionali e organizzazioni non governative hanno confermato un susseguirsi di violenze e stupri, mentre centinaia di siti di informazione e canali social locali sono stati chiusi. A distanza di due anni i prigionieri politici ufficialmente in carcere sono ancora 1’339, «ma si stima che il numero reale possa essere almeno triplo», ci spiega Ziuziuk. Sono gli eventi di cui parla il film ‘Minsk’, che sarà proiettato oggi alle 17.30 al Cinema Corso di Lugano, nell’ambito del Film festival diritti umani, oggi al via.

Resistenza sfortunata

Quella sfortunata resistenza non fu la prima, ma finora è stata la più grande: è riuscita finalmente a riunire in piazza centinaia di migliaia di persone. Finalmente, perché fino ad allora «i bielorussi, intimiditi dal regime ma vittime anche di una storica inerzia, hanno spesso faticato a mobilitarsi. Le proteste c’erano, ma erano sistematicamente silenziate. In quei mesi invece tutti, me compresa, abbiamo definitivamente capito che non si poteva più tacere, che i soprusi di Lukashenko non erano più sopportabili», ricorda Ziuziuk.

Che poi racconta: «Prima, a fine maggio, c’era stato l’arresto di Siarhej Tsikhanouski, marito di Sviatlana Tsikhanouskaya, condannato a 18 anni di carcere duro. Le autorità avevano respinto la sua domanda di candidarsi alle elezioni presidenziali e Sviatlana si è candidata al posto del marito, che ha preso in gestione la sua campagna elettorale. Tre settimane dopo è stato arrestato l’altro candidato Viktar Babaryka, condannato a 14 anni. Chiunque avesse ottime probabilità di vincere le elezioni, insomma, veniva ‘fatto fuori’ con motivazioni pretestuose. È a quel punto che il popolo bielorusso ha cercato di dire basta».

È andata com’era già successo in precedenza: Lukashenko ha vinto le elezioni con l’81% dei voti, una percentuale che da sola basta a intuire quanto siano state libere le elezioni. «Ma se è per quello, era già capitato che oltre alle intimidazioni ci fossero i brogli: ancora nel 2001 una mia amica vide sul registro elettorale la registrazione dell’avvenuto voto di sua nonna, che però era morta un anno e mezzo prima», osserva Ziuziuk con un sorriso amaro.

Dirottamento surreale

Nel 2021, a riportare la Bielorussia nei radar mediatici sarebbe invece stato il surreale arresto di Raman Pratasevich, giornalista dissidente il cui aereo, diretto dalla Grecia verso la Lituania, era stato fatto atterrare a Minsk per un falso allarme-bomba. L’attivista sarebbe poi ricomparso alla tivù bielorussa, visibilmente malconcio, per ‘ammettere’ l’organizzazione di proteste antigovernative e lodare Lukashenko. La propaganda si era già mobilitata per dipingerlo come fascista, «ma d’altronde è quello che Minsk e Mosca fanno sempre», nota Ziuziuk: «Basti pensare a come Putin giustifichi l’invasione dell’Ucraina come un’operazione di denazificazione» (Pratasevich aveva partecipato all’Euromaidan e aveva poi seguito il famigerato Battaglione Azov nel 2014, quando aveva 19 anni, «ma solo come reporter»).

‘Stalin senza fucilazioni’

Intanto, ormai da 28 anni, Lukashenko rimane al suo posto. Viene da chiedersi se non abbia ‘fatto anche cose buone’, come qualcuno dice perfino di Benito Mussolini: se non altro, nota qualche osservatore, al Paese sarebbe stata risparmiata la traversata nel deserto vissuta dalla Russia delle riforme negli anni Novanta. Ziuziuk sobbalza: «A una rappresentazione positiva della situazione, qui in occidente, può abboccare al massimo qualche comunista vecchio stampo, un po’ come succede con la storia della denazificazione ucraina. La realtà in Bielorussia è catastrofica. Lo stipendio medio di chi lavora nel settore pubblico – in un Paese in cui lo Stato è dappertutto – non supera i 300 euro (una discrepanza rispetto agli standard occidentali ben maggiore di quello del costo della vita misurato dagli indici internazionali, ndr). Il sistema sanitario e le strade sono in condizioni pietose».

Ma al di là dei soldi, è la libertà che manca: «Il regime di Lukashenko è come quello di Stalin, solo senza le fucilazioni di massa. Un mio contatto mi ha appena informato di essersi trovato gettato insieme ad altre diciassette persone in una cella che dovrebbe ospitarne quattro. Anche dopo la fine delle proteste di massa continuano a giungere continue testimonianze di violenze, e la cosa più brutta è che la polizia e i paramilitari pensano di avere il diritto ad agire in modo così brutale: sanno che nessuno li punirà, anzi sanno di essere protetti da Lukashenko tanto quanto lui lo è da Putin».

‘Il film non mi è piaciuto’

Intanto, «chi non lo aveva fatto prima cerca di lasciare il Paese». Dopo le proteste di piazza il governo ha cercato di bloccare le frontiere, ma migliaia di persone sono comunque fuggite all’estero. «La diaspora più importante la troviamo in Polonia, Lituania e Ucraina. È in questi Paesi che si organizza poi maggiormente la dissidenza, non senza subire intimidazioni» (anche Ziuziuk è stata oggetto di diffamazione sui canali social vicini al regime, che hanno pure pubblicato il suo indirizzo di residenza e il suo numero di telefono: «Informazioni che potevano arrivare solo dall’ambasciata bielorussa in Italia, ma si trattava di dati vecchi. In generale il fronte lukashista è molto passivo, anche le manifestazioni filogovernative in patria sono palesemente fatte a pagamento, reclutando persone ai margini della società»).

Per Ziuziuk è fondamentale che ogni tanto qualcuno riaccenda i riflettori sulla questione, anche se nel caso del film proiettato a Lugano «vorrei dire che non mi è piaciuto: rappresenta scene di violenza da parte di manifestanti e teppisti infiltrati nelle manifestazioni che non corrispondono alla realtà e fanno dimenticare come si sia trattato di una protesta pacifica, in cui la violenza è stata quella del regime».

Partigiani e Nobel

Intanto resta chi resiste. Come «i veri e propri partigiani che hanno cercato di sabotare i binari, le linee ferroviarie lungo le quali passano le munizioni russe dirette al fronte ucraino. Alcuni sono stati gambizzati e condannati a molti anni di carcere», riferisce Ziuziuk. Intanto «Lukashenko temporeggia, ma sa che prima o poi Putin lo costringerà a entrare in guerra». A partire da febbraio, Lukashenko ha messo a disposizione il territorio del suo Paese per le grandi manovre di Mosca, che ormai lo considera come il cortile dietro casa. Qualche giorno fa è stato annunciato l’inizio di esercitazioni militari mirate a creare una forza unificata tra truppe dei due eserciti. Mosca sta trasferendo quasi novemila soldati – lo conferma la Difesa bielorussa – e secondo il ‘Guardian’ anche due battaglioni addetti all’utilizzo di sistemi missilistici terra-aria. La giustificazione ufficiale: rispondere ad accresciute minacce terroristiche e difendere i propri confini.

In questi anni l’Unione europea ha agito in modo cauto verso Minsk, limitandosi perlopiù a rafforzare le sanzioni economiche. Un ulteriore inasprimento – al quale, come succede dal 2006, aderisce anche la Svizzera – è arrivato proprio dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Un segnale forte è giunto nel frattempo dal comitato del Nobel: Ales Bialiatski è appena stato insignito del premio per la Pace. Di lui, l’attivista emigrata in Italia nel 2004 ricorda: «È un dissidente della prima ora, già attivo per l’indipendenza bielorussa durante il regime sovietico. Ora si trova in carcere, dove gli era già capitato di trovarsi più volte in passato (Bialiatski ha 60 anni, ndr). È presidente e cofondatore di Viasna, che significa primavera e che, nonostante le persecuzioni, è la principale Ong che documenta i soprusi e difende i diritti umani in Bielorussia. Il premio è meritatissimo, e contribuisce anch’esso a sollecitare un po’ di attenzione per quanto sta succedendo». A meno di duemila chilometri da qui.

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