il reportage

Lo slalom tra i confini che chiudono di chi fugge dalla guerra

Non vogliono combattere e scappano all’estero con ogni mezzo. Ma i prezzi dei biglietti e il blocco delle frontiere in Europa rendono tutto complicato

In fuga dalla Russia anche a piedi o in bicicletta
(Keystone)

"Farete bloccare per ore alla frontiera 36 persone". L’autista del bus di linea Tallinn-San Pietroburgo, alla partenza dalla capitale estone, è adirato. A bordo sono appena salite due ragazze ucraine. "Stia tranquillo! È tutto in ordine – gli risponde un’avvenente bionda sui 30 anni –. Sono diretta nella mia città, Mariupol. Non mi fermerò in Russia. Da San Pietroburgo, stasera, ho un treno diretto laggiù".

Sono le 5.30 del mattino. L’autobus parte in orario. Alle 8 siamo già a Narva, ultimo villaggio estone prima della frontiera. I due splendidi castelli, costruiti sulle rive opposte, rimangono custodi del fiume che segna il confine storico tra il mondo baltico-germanico e quello slavo. Qua inizia la Russia, che si distende verso oriente per 10mila chilometri fino allo stretto di Bering, all’Alaska.

In bilico tra due mondi

Piazza Petri è l’ultima agorà prima del ponte, dove sono poste ai lati estremi le dogane. "Documenti, per favore!", esordisce in un russo stentato una poliziotta estone, salendo sul bus per radunare passaporti e carte di identità dei presenti. "Lei è stata in Estonia per turismo?" domanda in maniera inquisitoria a una russa con un permesso di soggiorno italiano. "No. Torno a casa in Russia. Abito un po’ lì, un po’ in Italia", risponde la donna intimorita, seduta affianco al marito.

La poliziotta estone scende dal bus. Entra nella sala computer, dove verifica elettronicamente i documenti uno a uno. Le finestre della sua postazione non hanno nemmeno i vetri oscurati. È tutto ok. Dopo 40 minuti si riparte. Il bus percorre duecento metri fino all’opposta stazione doganale russa. Qui si deve scendere dal mezzo con tutti i bagagli e passare il controllo passaporti. È come in aeroporto, solo che l’ambiente piccolo e soffocante lascia un po’ a desiderare. A parziale giustificazione, va però detto che nessuno si aspettava di dover fronteggiare un tale flusso di viaggiatori.


Auto in coda in uscita dalla Russia (Keystone)

Negli ultimi 5 mesi siamo passati di qui sei volte e abbiamo osservato le situazioni più incredibili. In aprile siamo rimasti fermi in uscita 3 ore perché degli ucraini dovevano essere interrogati. Gli uomini, che abitano a Est nelle zone sotto controllo federale, vengono in Europa transitando dalla Russia. Lo stesso fanno quelli che – superato il fronte grazie ai tanti passeur – vogliono aggirare il divieto di Kiev per i maschi tra 18 e 60 anni, a cui è vietato per legge uscire dall’Ucraina.

Paura dei terroristi

I russi temono il terrorismo. Quindi vogliono sapere dagli ucraini chi sono, chi conoscono in Russia e dove andranno o sono stati. Chiedono numeri di telefono, indirizzi, lavori svolti. Gli agenti dell’Fsb, i Servizi segreti, fanno le stesse domande più volte verificando che le versioni coincidano. Poi telefonano per controllare le informazioni ricevute. A volte scaricano le memorie dei cellulari.

Ad aprile uno studente universitario di Mariupol ci raccontò di essere stato costretto a spogliarsi per far vedere i tatuaggi. "Ma è niente – confessò – rispetto alle decine di ore passate nei campi di selezione tra la repubblica popolare di Donetsk e la Russia".

Per evitare intoppi, a giugno, passammo di qui a piedi, dopo aver preso un taxi da San Pietroburgo ed essere stati lasciati alla porta del posto di frontiera. Andò allora meglio che in agosto a Kaliningrad, dove al confine polacco il nostro bus è rimasto bloccato per 5 ore, poiché una russa non aveva tutti i documenti dei figli, e l’uomo che l’accompagnava era stato rimandato indietro.


Controllo passaporti (Keystone)

Incredibilmente si fa in fretta e veniamo fatti risalire sul bus. Delle due ragazze ucraine non c’è traccia. "Restano lì per ulteriori approfondimenti", spiega l’autista tutto contento mentre fa accomodare 3 nuovi passeggeri. Tra di loro c’è Dmitrij, ucraino dell’Est, dall’età di 11 anni in Italia. "Ero a San Pietroburgo. Volevo tornare a Bologna, dove vivo – sostiene –, ma all’uscita i russi mi hanno rimandato indietro per una questione amministrativa. L’Fsb mi ha interrogato 10 ore. Non ho dormito. Sono a pezzi. Domani cercherò di risolvere il problema. Poi me ne vado subito. I bus verso la Finlandia sono stati presi d’assalto: non si trova un biglietto manco a morire".

Le strade di Ivangorod sono sorprendentemente vuote. Fino a poche ore prima erano piene di automobili in fila verso l’Estonia. Non c’è manco l’ombra di un tir: in giugno questi camion stavano in fila per giorni. La ragione è semplice: la "porta" del Baltico è stata chiusa. Il 10 luglio per le merci, poche ore fa per le persone. Le tre repubbliche baltiche e la Polonia hanno congelato i visti da loro concessi ai cittadini russi e non permettono di fatto anche il transito verso gli altri Stati Schengen.

"La coda è lunga chilometri – conferma Marco, un italiano di San Pietroburgo con un aereo da prendere prossimamente a Helsinki –. La compagnia dei bus ci ha assicurato che si passa su una corsia preferenziale". Anche la Finlandia qualche giorno dopo chiuderà i confini.

La ‘mobilitazione parziale’

I maschi russi stanno fuggendo all’estero dalla "mobilitazione parziale". Il discorso del presidente Putin del 19 settembre ha avuto per il Paese slavo lo stesso effetto di un elettroshock. Fino a quel giorno la gente è sopravvissuta alla tragedia ucraina, costruendosi la solita "corazza" e facendo finta di niente. Al massimo si era discusso "in cucina", come durante i tempi sovietici - con il volume della televisore ben alto per non far sentire i vicini – e si sono rotte amicizie decennali o vincoli familiari. Al massimo, temendo il peggio che sta inesorabilmente arrivando, si è stretto la cinta per le questioni economiche o per la perdita del lavoro.

Adesso le ultime decisioni del Cremlino toccano tutti. In molte città, non solo a Mosca e a San Pietroburgo, si sono registrate proteste, represse dalla polizia. In Caucaso la situazione rischia di sfuggire di mano: là, la gente sa difendersi. I canali Telegram sono inondati di denunce di uomini, ammalati o che non hanno mai fatto il servizio militare o padri di numerosa prole, che hanno ricevuto la "cartolina" precetto. Da quanto descritto, pare, che i distretti hanno gli archivi dei dati non aggiornati, almeno da 10 anni.


In fuga verso la Georgia (Keystone)

Tanti sono i video di madri e nonne in lacrime, mentre i loro congiunti partono chissà per dove. Tanti sono anche i filmati delle liti tra chi sostiene l’Operazione speciale in Ucraina e chi invece urla di andare loro a morire al fronte. Chi è stato richiamato ha già fatto in tempo a postare foto e video in cui si vedono i mobilitati dormire per terra (non ci sono letti per tutti) e fucili mitragliatori arrugginiti.

Non ci sono scarponi e su internet si fa la colletta per comprare giubbotti anti-proiettili per i mobilitati. "Solo nella mia società – indica una manager moscovita – hanno ricevuto la cartolina in tre; altri tre, terrorizzati, sono volati via all’estero in ferie. Gli uomini iniziano semplicemente a nascondersi e a non andare più al lavoro". Su internet si sprecano gli appelli dei legali a non firmare nulla e a svignarsela.

Le autorità stanno tentando di trovare le contromosse. I governatori, a cui è stato affidato il compito di definire i 300mila mobilitati, promettono di correggere gli errori nelle liste dei richiamati. Il portavoce del Cremlino non fa passare ora senza promettere che andrà tutto bene e sottolinea l’isteria della popolazione, dovuta a mancanza di informazioni certe. Il decreto presidenziale, sottolineano gli esperti, è tuttavia scritto in modo generico così se necessario invece che richiamare 300mila persone si può arrivare a oltre un milione, se gli eventi andassero ancor peggio di adesso.

Duemila auto in coda

Ecco la fuga di massa. Verso la Mongolia dalla repubblica della Burjatja, che ha dato nei mesi scorsi molti combattenti alle Forze armate russe, e dalla zona di Irkutsk. Verso la Georgia, dove non serve il visto di entrata. Nella zona doganale, ha comunicato il ministero degli interni dell’Ossezia del nord, vi sono oltre 2mila auto in coda. L’attesa è minimo di due giorni. Per questo è stato permesso di lasciare le vetture e passare il confine a piedi.

L’autobus arriva finalmente a San Pietroburgo. Miracolosamente in anticipo. Biglietti ferroviari a prezzo normale per Mosca, a parte di svenarsi su un Sapsan ad alta velocità, non ce ne sono. Scopriamo, però, che da una stazione periferica partirà il Murmansk – Celjabinsk. Corriamo. Alla cassa ci vendono l’ultimo biglietto.

Il nostro vagone è stracolmo di gente. Ci sediamo vicino a una nonna di Kirov, la quale si sorprende quando vede i covoni di fieno nella campagna abbandonati sotto alla pioggia. Ci offre una salsiccia. "Perché il treno si è fermato? Fanno i controlli per la guerra", dice d’un tratto. Affianco ci sono dei giovani che vanno a Celjabinsk in treno sopportando decine di ore di viaggio. Tutti i biglietti aerei verso le città russe prossime al confine con il Kazakistan, dove non serve il visto, sostengono, sono stati comprati in poche ore da chi vuole fuggire, anche a prezzi 5 volte maggiori rispetto al normale.

"Ad Almaty – riporta un manager kazako in vacanza seduto a fianco – le società russe hanno affittato ovunque depositi e uffici. Non si trova più un buco a pagarlo oro". Ecco una delle ragioni per cui le entrate fiscali dello Stato federale in luglio sono diminuite del 33%. In sostanza, i russi stanno fallendo o stanno semplicemente portando via il business.

Arrivati a Mosca a mezzanotte accendiamo la tv. Il solito assalto nazional-patriottico. La spegniamo subito. Al risveglio guardiamo le notizie economiche. Borsa russa: -12%. Ha chiuso per giorni a -22%. In breve, l’elettroshock rischia di far saltare il banco. I suoi scricchiolii sono sempre più forti.


Il confine Russia-Finlandia è chiuso dal 30 settembre (Keystone)

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