dal fronte di guerra

L’arte di resistere alla morte e ai missili russi

L’esercito di Kiev avanza. Gli invasori hanno bombardato tutto: mancano elettricità e acqua. Combattenti stremati: ‘Ci riposeremo quando sarà finita’

Tornano le bandiere ucraine nei villaggi liberati
(Keystone)
22 settembre 2022
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Validol arriva con la sua jeep al quartier generale del battaglione 206 a Mykolaiv. Non lo vedevo da più di due mesi. Nel frattempo la sua compagnia ha perso tre uomini. "Uno lo hai conosciuto quando sei venuto sulle nostre posizioni". Non me lo ricordo. Mi ricordo di ‘Jesus’, con i suoi capelli lunghi rossicci perché era l’unico a parlare bene inglese insieme a ‘Hindu’, un ragazzo molto giovane, indiano di origini ma nato in Ucraina.

La loro posizione lo scorso giugno era nella regione di Mykolaiv, a una quindicina di chilometri dalla parte sud della città. Oggi si trova nella regione di Kherson, trenta chilometri più avanti. Stanno avanzando. Il villaggio dove è attestata la compagnia si chiama Tavriski. Civili non ce ne sono. Sono stati tutti evacuati. Gli unici abitanti rimasti, in queste terre verdi, alternate da pascoli e campi, sono gli animali. Manca l’acqua, e l’elettricità e diverse mucche sono già morte di sete.

La sopravvivenza degli animali

I soldati hanno preso posizione in diverse case del piccolo abitato. In una di esse si trova il comando della compagnia. Qui c’è un pozzo che settimanalmente viene riempito con una autobotte. E qui, ogni pomeriggio, arrivano mucche e cavalli a chiedere da bere.

Gli animali non parlano, ma hanno capito che l’unico modo per sopravvivere è avvicinarsi ai soldati ucraini, che dividono con loro, per quanto possibile, parte della loro acqua. C’è un gattino morto accanto ai mezzi militari. L’area è stata bombardata pochi giorni prima.


Un cavallo stremato in una stalla (Keystone)

I segni delle schegge sono un po’ ovunque. Insieme a Validol ritrovo Albina, nome di battaglia ‘Squalo’ per i suoi canini allungati, e Yura ‘Vitamin’, suo marito. E poi c’è Nata con il suo compagno e Igor detto ‘Wolf’. Sono i giovanissimi paramedici del gruppo. "Siamo riusciti ad avere tre giorni di licenza in questi ultimi sei mesi" racconta Nata. Le chiedo se non è stanca e se non manca loro di avere un po’ di privacy. "Certo che sono stanca, lo siamo tutti, ma non possiamo mollare adesso. Quando sarà tutto finito ci riposeremo".

Vita comunitaria

Si dorme tutti insieme in una parte della cantina su letti di legno e a castello. Qualcuno ha una branda. L’aria è pesante e umida. Non c’è acqua corrente e anche potersi fare una doccia diventa un sogno, per questi uomini e donne, molti cresciuti in fretta sul campo di battaglia. Qui o impari a sopravvivere, o muori. Nessuno però si lamenta, tutti hanno il sorriso in faccia. Igor è l’unico con uno sguardo malinconico. Un poco lo è sempre stato, ma c’è qualcosa in lui che mi rattrista, come se si fosse spenta ulteriormente una sua fiamma interiore. Forse è solo una mia impressione. Mi chiede se in Italia il cappuccino si beve durante la giornata. Un pourparler, ma scherziamo sul fatto che no, va bevuto solo la mattina e non a pranzo o cena.

Ogni tanto cadono dei colpi a circa cinquecento metri di distanza. Le nuvole di fumo nero e grigiastro si alzano in cielo. Poi la risposta dell’artiglieria ucraina che si abbatte sulle posizioni russe. Loro sono davanti a noi, a poco meno di cinque chilometri, nel villaggio di Pravdyne.

Validol mi porta sulla linea zero. Trincee scavate nel terreno con la forza delle mani. Spazi angusti, spesso un cunicolo che termina con una serie di gradini e lo spazio necessario per adagiare a terra un sacco a pelo. Poco distante due uomini stanno scaldando del caffè in un pentolino. Un camion Kamaz con un cannone da contraerea Azp S-60 utilizzato per il tiro indiretto è nascosto in un boschetto a soli tre chilometri dai russi. Alle otto e cinquanta l’ordine di attacco: il primo colpo. La controffensiva è partita su tutta la linea del fronte di Kherson.

Gli artisti di Dnipro

"Mi chiamo Andrii Palash e sono il direttore del Centro di Cultura Contemporanea. Prima della guerra questo luogo era una residenza per artisti contemporanei e organizzavamo eventi come mostre d‘arte e festival di musica contemporanea, eravamo uno dei principali centri di produzione artistica e culturale contemporanea di tutta la regione. Quando è iniziata l’invasione abbiamo dovuto fermare tutto e abbiamo deciso di indirizzare la nostra attività in campo umanitario e sociale, lavorando con diverse Ong che si occupano di sfollati. Non so se lo sapete ma qui a Dnipro ci sono circa trecentomila persone arrivate dal Donbass, da Kharkiv, Mykolaiv e dalla regione di Kherson. Stiamo organizzando una serie di attività per coinvolgerli e farli adattare e quindi abbiamo avviato dei seminari, dei workshop e attività per i bambini e facciamo anche concerti di beneficenza per raccogliere fondi per i nostri amici che attualmente stanno servendo nell’esercito. Questa è la nostra attività in periodo di guerra".


Un murale a Odessa (Keystone)

Andrii Palash cammina lungo i corridoi di questo palazzo storico di Dnipro, per anni abbandonato all’incuria e poi ceduto al Dpcc per la simbolica cifra di una grivna all’anno. I laboratori artistici sono vuoti. La maggior parte del team è andata via. Normalmente composto da venti persone, in maggioranza donne, oggi conta solo quattro persone. Il soffitto stuccato con motivi floreali richiama i fasti dell’impero zarista. Fondata nel 1783 dai russi con il nome di Ekaterinoslav, ‘la gloria di Caterina’, un omaggio all’imperatrice Caterina II, la città sotto il regime sovietico diventa Dnipropetrovsk. Località proibita ai turisti stranieri e alla maggior parte dei russi fino agli anni 90, perché centro di ricerca militare e aerospaziale, uno dei centri industriali più grandi del Paese.

Il palazzo, costruito nel 1852 dall’architetto Alexander Ton, si trova a poca distanza dal fiume Dnipro. "Io credo che l’Ucraina sia ancora nel processo di trovare una sua identità e certamente la cultura è lo strumento per trovarla. Credo sia arrivato il momento che tutti gli ucraini capiscano che devono parlare la loro lingua e non il russo. Dobbiamo conoscere la nostra cultura, la nostra storia, e attraverso le nostre attività culturali, gli eventi, le discussioni e i club di lingua ucraina, aiutiamo le persone a capire la loro cultura, a comprenderla meglio, a scoprire nuove cose. Capire cosa significhi vivere in questa città ed essere ucraini. È molto importante. Adesso la maggioranza delle persone che vive nell’est e nel sud del nostro Paese parla russo. Questo succede nelle grandi città, ma se vai nelle campagne, anche nell’est, le persone parlano ucraino. Questo è dato dal fatto che sotto l’Unione sovietica per le persone era impossibile trovare un lavoro nelle città se non parlavi russo. E questo fa parte della storia del Dna delle nostra città e della mentalità imperialista e colonialista russa. Ma le cose, con questa invasione, sono diventate ormai irreversibili".

Poco distante, su via Filosofska, si trova la casa degli artisti. Sasha Shakirov porta un paio di occhiali da sole e ha i capelli viola. La prima volta che l’ho incontrato è stato ai primi di marzo. In quel periodo nessuno sapeva se i russi sarebbero mai arrivati alle porte di Dnipro e lui, insieme a tutti i membri del collettivo artistico situato in un ex cinema del periodo sovietico, stava raccogliendo aiuto per le forze armate e organizzandosi per resistere in caso di attacco alla città. "All’inizio raccoglievano aiuti solo per i soldati, poi ci siamo mobilitati anche per i rifugiati. Abbiamo aperto una mensa qui accanto e chi viene qui da noi trova un pasto caldo. La nostra sede al momento è chiusa perché stiamo mettendo a norma una delle sale per trasformarla in un sicuro rifugio antiaereo. Ogni volta che suonava l’allarme, all’inizio, le persone si rifugiavano nell’ex sala cinema, ma in caso di attacco non basterebbe".

Nella mensa arrivano alla spicciolata una ventina di persone. Mangiano, bevono, in silenzio, e poi spariscono. Sembrano fantasmi. Alle pareti sono appese opere di diversi artisti e un bazooka anticarro. Nella sala adiacente invece ci sono dipinti e installazioni artistiche in vendita per finanziare le attività delle forze armate. "Abbiamo fatto una prima mostra dedicata alla guerra, vista attraverso la lente dei fotografi ucraini ma è stata troppo forte, troppo dolorosa, ha causato uno shock anche a noi organizzatori, quindi adesso abbiamo virato su opere astratte, sempre realizzate durante questa invasione e sempre collegate alla guerra ma meno emozionali, se così possiamo dire. Questa trasformazione l’ho vissuta personalmente, come tanti di noi. C’è stato un periodo nel quale sono caduto in depressione, avevo dentro di me un senso di disperazione a causa di questa terribile invasione, non riuscivo più a fare nulla. Bevevo. Ora sono tornato attivamente alla poesia e alla promozione dei nostri artisti locali e presto avremo una serie di murales dedicati ai nostri grandi letterati e artisti".


Un’artista dipinge cavalli di frisia (Keystone)

Sasha parla di trasformazione, non solo sua, ma di tutta la popolazione, che per troppi anni è stata tenuta lontano dalla letteratura e dalle arti durante quella che lui definisce ‘occupazione sovietica’. "Tutto quello che non era in linea con il Partito Comunista veniva soppresso. Le opere d’avanguardia che abbiamo appeso oggi sarebbero state considerate come arte degenerata. Le cose sono cambiate, nel corso dei decenni in un Paese libero come il nostro e nessuno di noi vorrà mai tornare indietro a quei tempi bui. Noi siamo liberi".

Kharkiv sotto le bombe

Quando arrivo a Kharkiv da Sloviansk, in Donbass, è buio completo. Ci sono luci e lampeggianti e un gruppo di persone poco distante. Un’auto si è semidisintegrata contro un guardrail di cemento messo di traverso per costringere i veicoli a compiere uno slalom e rallentare prima dell’incrocio. Si usano cavalli di frisia o questi blocchi di cemento armato, spesso in prossimità dei checkpoint. Quando cala la luce la visibilità è nulla. Le persone radunate intorno alla macchina sono ragazzi e ragazze, la maggior parte molto giovane. Piangono in molti, una donna ha la testa appoggiata al petto di un poliziotto, teste reclinate a guardare il terreno. È morto qualcuno. È così facile morire anche per incidenti di questo genere che spesso si trovano mazzetti di fiori attaccati a questi mostri di cemento e acciaio.

Si muore anche così, in questa Ucraina in guerra. Poco distante un gatto appena investito esala l’ultimo respiro. Mi fermo a lato della strada e nel buio corro a spostarlo e lo appoggio su un prato. Lo faccio sempre, è più forte di me. I russi hanno appena bombardato la centrale elettrica, internet non funziona. È l’ennesima dimostrazione della logica di barbarie medievale di Mosca, che sconfitta nella regione di Kharkiv, costretta a ritirarsi caoticamente, colpisce le infrastrutture civili. Una delle street artist che sta dipingendo i muri di Dnipro è di Kharkiv. Si chiama Nina Ezhik. L’opera che sta creando è un grande formichiere azzurro che sovrasta la torre di babele. A Kharkiv, per il momento, ancora non vuole tornare. I missili continuano a cadere. I russi si sono ritirati dalla regione, a nord come a est. Ma qui tutti aspettano ogni giorno i bombardamenti russi.

Il giorno seguente un forte boato scuote i quartieri a est della città. L’esplosione scaraventa una pioggia di schegge che arrivano anche a duecento metri di distanza. Una di queste fa esplodere una conduttura del gas, altre colpiscono macchine in transito. Ci sono feriti. I vigili cercano di spegnere il fuoco, un operaio accorre in aiuto con una pala e alza le dita in segno di vittoria. Non c’è tempo per riposarsi, per dire che è finita, qui a Kharkiv come a Mykolaiv o in tante altre città ucraine. Ad Andreivka, a pochi chilometri di distanza da Balakliia, le donne salutano dal ciglio della strada ogni mezzo militare che passa. Una di loro piange di gioia. Gli ucraini hanno vinto inaspettatamente una battaglia, ma la guerra, continua.


Bambini a Dnipro alle prese con matite e pastelli (Keystone)

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