la guerra in ucraina

Liberata l’Isola dei Serpenti. Zelensky scrive a Putin

I russi si ritirano, Kiev esulta. Usa: ‘Allarme armi nucleari’. E la Cina attacca la Nato

Murale a Kiev con un soldato ucraino sull’Isola dei Serpenti (Keystone)
30 giugno 2022
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I russi hanno lasciato l’Isola dei Serpenti. A più di quattro mesi dall’inizio della guerra e dalla presa dell’avamposto ucraino nel Mar Nero, strategico per il controllo dei flussi navali ma anche per un possibile attacco anfibio su Odessa, la guarnigione schierata dall’esercito di Vladimir Putin si è ritirata. Un abbandono in "segno di buona volontà" per "non ostacolare gli sforzi dell’Onu per sbloccare le esportazioni alimentari", ha spiegato Mosca; una fuga imposta da dieci giorni di bombardamenti che hanno inflitto pesanti perdite, ha rivendicato Kiev.

In ogni caso, si tratta di un passaggio cruciale del conflitto, che allontana la minaccia russa dalle coste ucraine e dà fiato agli sforzi di Turchia e Nazioni Unite per la creazione dei corridoi del grano, mentre sulla scena si affaccia anche la mediazione dell’Indonesia. Dopo averlo invitato al G20 di novembre a Bali, a cui potrebbe partecipare in presenza, al Cremlino il presidente Joko Widodo ha consegnato a Putin un messaggio affidatogli il giorno prima da Volodymyr Zelensky, il cui contenuto è rimasto top secret.

Segnale di svolta

Il cambio della guardia all’Isola dei Serpenti segna una svolta al fronte sud dell’Ucraina. "Le forze armate russe hanno completato i loro compiti e hanno ritirato una guarnigione di stanza lì", ha affermato il ministero della Difesa di Mosca. Kiev invece canta vittoria. Il comandante dell’esercito Valery Zaluzhny ha brindato alla "liberazione di un territorio strategico". I russi non sono riusciti a "resistere al fuoco della nostra artiglieria e agli attacchi missilistici della nostra aviazione", ha esultato anche il capo di Stato maggiore Oleksii Hromov, evocando l’impegno a riconquistare l’isolotto, caduto in mani russe poche ore dopo l’inizio dell’invasione, quando uno dei difensori ucraini pronunciò la celebre frase contro l’incrociatore Moskva: "Nave da guerra russa, vai a farti fottere!". Un’operazione che avrebbe ricevuto una spinta decisiva con le nuove armi pesanti occidentali, dai missili antinave Harpoon ai lanciarazzi multipli Himars.

Il caso grano

Con il ritorno all’Ucraina dell’Isola dei Serpenti, potrebbe accelerare il piano per la creazione dei corridoi per l’export dei cereali, di fronte a una crisi alimentare globale sempre più allarmante. "Nessuno impedisce alle autorità ucraine di sminare i loro porti e permettere così alle navi con il grano di partire. La Russia - ha assicurato Putin - garantisce la loro sicurezza". Intanto, però, Mosca ha fatto salpare "verso Paesi amici" la prima nave mercantile con 7.000 tonnellate di grano da Berdiansk, porto sul mar d’Azov sotto il suo controllo, che Kiev l’aveva accusata di aver rubato.

I combattimenti continuano

Nel frattempo i combattimenti continuano su diversi fronti, con Lysychansk sempre nel mirino dell’offensiva. La situazione nell’ultima città controllata dagli ucraini nella regione di Lugansk è "estremamente difficile" e le evacuazioni dei civili sono ormai diventate impossibili, ha spiegato il governatore Serhiy Gadai, mentre lo Stato maggiore ha confermato l’avanzata rivendicata dai filorussi nell’area della raffineria cittadina, "la più grande dell’Ucraina".

Nuove bombe a grappolo sono state lanciate poi più a ovest, su Sloviansk, nel Donetsk. "Le azioni di Kiev nel Donbass sono un genocidio", ha accusato nuovamente Putin. Che, secondo l’intelligence Usa, con il prolungarsi del conflitto potrebbe anche decidere di usare l’atomica. Per l’intelligence americana, la Russia ci metterà anni a ricostruire il suo esercito. E "in questo lasso di tempo è possibile che le forze di Vladimir Putin facciano affidamento su altri mezzi come i cyberattacchi, i ricatti energetici o le armi nucleari per cercare di gestire e proiettare potere e influenza a livello globale". Una ricostruzione nuovamente smentita da Mosca, anche con una convocazione dell’ambasciatrice britannica Deborah Bronnert per gli insulti di Boris Johnson contro lo zar.

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