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Usa, Trump nei guai dopo rivelazioni su assalto Capitol Hill

L’assistente dell’ex chief of staff lo ha accusato di aver istigato i suoi fan a marciare per ribaltare il voto pur sapendo che alcuni erano armati

Scandal
(Keystone)
29 giugno 2022
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L’ex presidente americano Donald Trump sembra davvero nei guai dopo la deposizione bomba della super testimone nelle audizioni pubbliche dell’inchiesta parlamentare sull’assalto del Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

La 26enne Cassidy Hutchinson, assistente dell’ex chief of staff Mark Meadows con accesso alle segrete stanze del potere, lo ha accusato di aver istigato i suoi fan a marciare sul Capitol per ribaltare l’esito del voto pur sapendo che alcuni erano armati. E di aver tentato di unirsi a loro afferrando il volante della limousine presidenziale dopo che il Secret Service si era opposto.

"Un epitaffio", una "smoking gun", insistono vari analisti, paragonando l’effetto politico-giudiziario devastante della testimonianza della Hutchinson a quello della deposizione di John Dean, il consigliere di Richard Nixon che mezzo secolo fa accusò l’allora presidente di essere personalmente coinvolto nel Watergate.

L’audizione, secondo molti esperti legali, spiana la strada ad un’inchiesta penale e mina la ricandidatura del tycoon nel 2024, già insidiata da giovani leader repubblicani emergenti pronti a raccogliere la sua eredità, primo fra tutti il governatore della Florida Ron De Santis.

Era stato lo stesso avvocato della Casa Bianca Pat Cipollone ad avvisare dei rischi giudiziari per Trump se avesse marciato insieme ai suoi sostenitori, intenzione confermata dalla super testimone: "ci accuseranno di ogni crimine immaginabile", le disse.

Gli esperti ritengono che la deposizione della Hutchinson tolga all’ex presidente l’alibi di aver agito in buona fede, nella convinzione dell’esistenza di brogli elettorali, e lo scudo del primo emendamento sulla libertà di espressione.

E già elencano i possibili reati: ostruzione di una procedura parlamentare (la certificazione del voto), cospirazione per truffare gli Stati Uniti (lavorando per ribaltare l’esito delle elezioni) e incitamento alla rivolta. Peraltro c’è già un precedente, in un caso civile, dove un giudice ha concluso che Trump e uno dei suoi legali, John Eastman, hanno commesso probabilmente i primi due reati.

Sale quindi la pressione sul riluttante ministro della giustizia Merrick Garland perché apra un’inchiesta penale contro Trump, che potrebbe portare al primo processo contro un ex presidente, con effetti socio-politici dirompenti e duraturi.

Egli deve prendere prima tre decisioni. La prima è valutare se ci siano prove sufficienti per convincere una giuria che Trump ha commesso crimini oltre ogni ragionevole dubbio.

La seconda è scegliere se mantenere il pieno controllo dell’inchiesta, rendendo conto politicamente del suo operato dopo essere stato confermato dal Senato in modo bipartisan. Oppure nominare un procuratore speciale per evitare conflitti di interesse, cioè l’accusa di usare la giustizia come un braccio armato contro un avversario (potenzialmente anche futuro) del presidente. Tanto più dopo che Joe Biden ha definito Trump "un pericolo per la democrazia".

La terza decisione, la più difficile, è se una mossa del genere servirebbe l’interesse nazionale: c’è il rischio di dividere ulteriormente un paese già fortemente polarizzato, di sollevare accuse di vendetta politica minando l’indipendenza del Dipartimento di giustizia, di rafforzare il tycoon trasformandolo in un martire e innescando future rappresaglie tra amministrazioni di colore diverso.

Non agire però sarebbe altrettanto pericoloso, perché incoraggerebbe le illegalità di futuri presidenti. A partire da Trump, se dovesse vincere ancora. Per Garland è un vero dilemma: qualunque sia la sua decisione, le conseguenze saranno sismiche.

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