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Affluenza ai minimi, flop referendum

Alle 19 aveva votato solo il 14%. Berlusconi all’attacco: ‘Sono stati boicottati’. Alle urne anche per le amministrative in diverse città

Berlsuconi al seggio (Keystone)
12 giugno 2022
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In Italia, per i referendum sulla Giustizia e sull’abolizione della legge Severino è nulla di fatto. Il dato registrato sull’affluenza delle 19, pari al 14 per centro degli aventi diritto al voto (sulla base dei dati del Viminale che riguardano 7’604 comuni su 7’903) non lascia molti spiragli sul raggiungimento del quorum richiesto (50% + 1).

Sui cinque quesiti Radicali e Lega si sono battuti in una dura campagna referendaria, denunciando a più riprese il silenzio dei media. Quanto abbia contribuito la scarsa affluenza è difficile da stabilire, ma basta fare il confronto con il referendum del 7 aprile 2016 sulle trivelle, che ebbe una affluenza del 23,54% alle 19, per poi non arrivare neanche al 33% a chiusura urne, per avere un quadro di quanto accadrà con i quesiti sulla giustizia. Un quadro tanto netto da far ritenere quasi superflua la necessità di attendere i primi exit poll condotti in uscita dai seggi per rendersi conto, ben prima della chiusura delle urne, che l’obiettivo di chi intendeva introdurre una serie di cambiamenti in materia di magistratura e di amministrazione della Giustizia non è stato centrato. Un dato che, oltretutto, accomuna questo referendum alle consultazioni referendarie che si sono svolte in Italia nell’ultima decina d’anni.

Disastro annunciato

Ma in fondo, il flop sembrava annunciato da giorni. E temuto da tutti coloro che hanno spinto fino alla fine i 5 quesiti. Il referendum è stato inserito nel contesto di un election day, in contemporanea con le elezioni amministrative in 975 comuni, tra cui la grande Palermo, dove i problemi per la costituzione dei seggi e l’avvio delle votazioni non sono stati pochi, causa i forfait di scrutatori e presidenti di seggio. Ma i promotori, tra cui Matteo Salvini, hanno sempre battuto sul tasto della scarsa comunicazione, a tutti i livelli, sui quesiti. Si sono appellati anche a Sergio Mattarella e a Mario Draghi, chiedendo loro di fare un appello al voto.


Giorgia Meloni al voto nel suo collegio elettorale, a Roma (Keystone

La Lega aveva accusato senza tanti giri di parole i media di non aver dato abbastanza spazio al dibattito e all’approfondimento delle ragioni del sì e del no ai cinque quesiti sulla riforma della giustizia. Un’accusa condivisa da Silvio Berlusconi, secondo cui i referendum sulla giustizia "sono stati boicottati con il voto in un giorno solo. Sono stati boicottati con il silenzio assoluto su molti giornali e sulla televisione di Stato". Il tutto, sostiene il leader di Fi a urne aperte, sarebbe in linea con "una volontà precisa di mantenere le cose come stanno e gli italiani che non vanno a votare e se ne stanno a casa. Siamo dei masochisti".

In questo contesto, la Lega non manca di rilevare le difficoltà di una campagna elettorale in cui si è sentita in fondo lasciata sola dal resto del centrodestra. A partire da Fratelli d’Italia. Per il Carroccio, dunque, il risultato referendario ha il sapore di una battuta d’arresto, che potrebbe pesare ulteriormente anche nei già complicati rapporti interni alla coalizione, In ogni caso, c’è comunque chi spera che il mancato raggiungimento del quorum non fermi l’iniziativa legislativa in corso in Parlamento. Anche nel centrosinistra, i cui leader oggi hanno tenuto cucite le bocche rinviando, come anche Matteo Renzi, qualsiasi commento al giorno successivo. "Dobbiamo lavorare con ancora più determinazione per dare le giuste risposte su temi importanti e delicati", riflette Andrea De Maria del Pd.

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