l’approfondimento

L’Irlanda unita e la Storia a due velocità

I nazionalisti del Sinn Féin hanno vinto le elezioni e tutto (Brexit compresa) sembra portare verso una storica riunificazione. Ma serve ancora tempo

Benvenuti in Irlanda (Keystone)
13 maggio 2022
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La Storia pare procedere a strappi e così la presentiamo su grafici e libri, anche perché è l’unico modo di far capire a tutti qualcosa senza sprofondare sotto il peso di massicci e infiniti volumi: una serie di date decisive, una battaglia o un’elezione vinta o persa ed ecco che gli eventi girano da un’altra parte. L’abbiamo visto però con la guerra in Ucraina che le cose non iniziano quasi mai con un cerchietto su un calendario e invadere un Paese nel 2022 ha a che fare con il presente almeno quanto con le decisioni di Stalin e quelle di Lenin, con l’Impero degli zar, indietro fino quasi alla fondazione di Kiev.

Quel che accade da un secolo a questa parte nell’Irlanda divisa è la sintesi perfetta della Storia con la S maiuscola, date di cui non si può fare a meno per non perdere la bussola (il Bloody Sunday, per dirne una, 30 gennaio 1972) e – soprattutto – tutto quel che passa sotto, intorno alla bussola, come se altrimenti non ci fosse un terreno dove appoggiarsi, una strada – e una direzione – da cercare.

Quanto è storico il successo del Sinn Féin, il partito nazionalista-indipendentista cattolico, alle elezioni nordirlandesi del 5 maggio scorso? Abbastanza da mettere un circoletto rosso sul calendario? Sì. Si tratta pur sempre della prima volta che un partito d’ispirazione cattolica ottiene il maggior numero di voti nell’Ulster protestante. Abbastanza da far girare il corso della Storia? No. Forse è solo un passaggio fisiologico, dettato da tanti fattori. Uno in particolare, talmente facile da trovarsi nelle canzonette (seppur d’autore): è la gente che fa la Storia. E anche i figli: soprattutto i cattolici, come se fossimo in un romanzo alla Dickens o in qualche film pieni di birra scura, patate, emigrati e carestie. I tempi sono cambiati, eppure c’è poco da stupirsi.


Spille nazionaliste irlandesi (Keystone)

Fiocchetti verdi

Quattro anni fa era stata la Bbc, britannica (e quindi di parte), a dare l’allarme, tramite Paul Nolan, esperto di Irlanda e processi sociali: "Di questo passo, nel 2021, nell’Ulster ci saranno più cattolici che protestanti. Tra gli uomini in età lavorativa il sorpasso c’è già stato con il 44% contro il 40%. E tra i giovani in età scolare siamo già al 51% contro il 37%. Solo tra gli over 60 si vede ancora una netta prevalenza di protestanti (il 57%)".

In un Paese come l’Irlanda, dove il voto è fortemente indirizzato dall’appartenenza sociale e religiosa, i conti si fanno in fretta. E la Storia rischia di farla chi fa più figli: un processo lento eppure inesorabile, fondamentale, eppure impossibile da mettere in evidenza in una cronologia. Certo, per lo stesso motivo, non basta un sorpasso demografico per cancellare dalle mappe quel confine stonato come pochi altri, nell’angolo di un’isola che sembra disegnata per essere un corpo unico: gli irlandesi di qua, i britannici di là, e il mare nel mezzo.

Il ‘gerrymandering’

Le cose ovviamente sono sempre più complicate dei numeri, soprattutto quando c’è il potere di mezzo. Da quanto tempo si dice che alle donne o alle minoranze Usa basterebbe votare un loro candidato compatti per scardinare l’alternanza-non alternanza di maschi bianchi Wasp (con l’eccezione di Barack Obama)? In Irlanda del Nord essere semplicemente di più non è bastato neppure in un luogo dove il voto compatto esiste, anzi è quasi un assioma. C’è di mezzo una parola che prima non esisteva, "gerrymandering", arrivata proprio dall’America, un incrocio tra salamander (salamandra) ed Elbridge Gerry, il governatore del Massachusetts che nel 1812 decise di ridisegnare i confini dei collegi elettorali in modo da favorire sé stesso. La forma stretta, allungata e apparentemente insensata di quel collegio elettorale fraudolento, seppur a norma di legge, ricordava una salamandra: ecco servito il "gerrymandering" (copyright dell’allora direttore di un giornale federalista, avversario di Gerry). Una furberia nata al di là dell’Atlantico che però s’attagliava perfettamente all’Irlanda del Nord, almeno secondo chi doveva mantenere lo status quo, e cioè gli inglesi.


‘Tempo di pace, tempo di andare’

Ridisegnare un collegio elettorale non è difficile: ne prendi uno dove hai perso, aggiungi una porzione di territorio vicina dove sai di avere un ampio bacino di voti e il gioco è fatto. I britannici riuscirono nell’impresa di adottarlo con successo perfino a Derry, la roccaforte nazionalista irlandese in cui 7 abitanti su 10 erano cattolici. Con un abile gioco di linee che sembravano fuori controllo e invece erano disegnate da mano ferma e ben indottrinata, i protestanti riuscirono a garantirsi la maggioranza con 24 seggi su 40.

Un equilibrio precario

Anche alle urne, e non solo per strada, si è giocato l’equilibrio politico di due popoli ben oltre l’orlo della crisi di nervi: negli anni arrivarono i "Troubles", le rappresaglie, i morti, i militari e i paramilitari fedeli alla regina e dall’altra parte l’Ira: terroristi o combattenti per la libertà, a seconda di chi scriveva la storia. Una storia che va dal mortale sciopero della fame di Bobby Sands a spietati attentati.

Il Sinn Féin, oggi vincitore delle elezioni, è sempre stato vicino – a volte molto, a volte meno – all’Ira e per questo è sempre stato guardato con diffidenza non solo dagli unionisti, ma anche da molti cattolici, che soprattutto dopo gli accordi del Venerdì Santo (quelli che nel 1998 ebbero il merito di porre fine ai Troubles, ma non alla situazione di politica e geografica di stallo) volevano uno stacco netto da un periodo di lotta, ma anche di sofferenza.

Dopo Gerry Adams

Il leader storico del Sinn Féin, Gerry Adams, figura a dir poco controversa, aveva contatti diretti con l’Ira: non se n’è mai chiarita la profondità, e proprio questa zona d’ombra è stata la sua forza e il suo limite. Il suo vissuto e i suoi legami assicuravano un’innegabile fedeltà all’ideale e all’obiettivo dell’Irlanda unita, allo stesso tempo erano un fardello troppo pesante.

Non è un caso che il successo del Sinn Féin sia arrivato dopo la scelta di Adams di lasciare la segreteria del partito nelle mani di Mary Lou McDonald, che nulla aveva a che fare con quel Sinn Féin che aveva perlomeno chiuso gli occhi durante le violenze che hanno preceduto gli accordi del 1998.

L’avvicendamento e il successore erano stati scelti da Adams dopo 34 anni al timone di un partito organizzato in modo estremamente gerarchico, quasi militaresco. Uscire da quell’impianto novecentesco ha dato nuova linfa al Sinn Féin, che infatti ha volutamente lasciato sullo sfondo le questione identitarie, concentrarsi almeno in Irlanda del Nord su problemi più impellenti, come disoccupazione, povertà e malnutrizione. Certo, il tema dell’Irlanda resta, ma come tutte le onde va cavalcata al momento giusto. A ingrossare i cavalloni per ora ci ha pensato quella sequela di errori che è stata la Brexit, un mare mosso quando David Cameron diede il via libera al referendum, oggi quasi uno tsunami che, sì, ha messo il Regno Unito fuori dall’Ue, ma sta spingendo Scozia e Irlanda del Nord fuori dal Regno Unito.


Adams, McDonald e O’Neill portano il feretro di Martin McGuinness (Keystone)

Surfare sulla Brexit

Il momento giusto per surfare l’onda potrebbe essere il 2025, anno delle elezioni irlandesi, ma il 6 dicembre di quest’anno saranno esattamente cent’anni dalla nascita della Repubblica d’Irlanda, qualche spallata ci sarà, con l’aiuto del Parlamento di Belfast, che però potrà fare ben poco. Il motivo sta nel come è concepito (un altro mostro in stile gerrymandering, questa volta a due teste): il primo ministro è espressione del partito vincente, ma è tenuto a governare con il primo partito della coalizione opposta, che esprime un vicepremier. Se uno dei due si dimette, deve farlo anche l’altro. In pratica, il Parlamento di Belfast sopravvive solo se si muove il meno possibile. Da lì non potranno arrivare grandi spinte separatiste-nazionaliste.

Un alleato del Sinn Féin sono gli accordi sui confini Ue siglati da Johnson. Mentre quelli politici sono rimasti identici, con quella ferita a tagliare il nord-est dell’Irlanda, quelli economici sono stati spostati nei porti irlandesi, per evitare una dogana su un confine ad alta infiammabilità. Di fatto, l’Irlanda è già unita laddove passano merci e denaro, non un dettaglio in un mondo capitalistico. Sfruttare questa serie di vantaggi letteralmente regalati da Londra è l’esame di maturità per il Sinn Féin, per McDonald e per la futura premier nordirlandese Michelle O’Neill.

L’altra spinta, se le previsioni dell’esperto della Bbc dovessero essere confermate, arriverà dai dati del censimento 2021, la cui divulgazione – attesa per il 24 maggio – è già stata rimandata due volte. È celebre la frase attribuita al patriota e politico Massimo D’Azeglio: "Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani". Lassù hanno fatto gli irlandesi e continuano a farne, sembra proprio arrivato il momento di fare un’unica Irlanda.


Il celebre murale di Derry (Keystone)

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