l’approfondimento

Informarsi con Rt e Sputnik, le news nel mondo capovolto

Le restrizioni rendono sempre più difficile l’accesso, ma il mix di notizie non verificate, bugie e opinioni distorte è inquietante

L’homepage di Sputnik Italia prima che il sito venisse oscurato (Sputnik)

La Polonia sta pensando di prendersi l’enclave russa di Kaliningrad, la Serbia è l’unico Paese europeo davvero libero e neutrale che non ha preconcetti sulla Russia, la Moldavia denuncia la fuga di civili ucraini rozzi, nazisti e stupratori e sostiene "l’operazione militare speciale" di Vladimir Putin. L’Unione europea è stata costretta dagli Stati Uniti ad attivare le sanzioni, il cambio dei flussi del gas – da ovest a est – può essere letale per l’ambiente, inoltre per colpa dell’Occidente che sostiene l’Ucraina e non accelera la fine del conflitto i Paesi poveri stanno rimanendo senza grano e altri beni primari. Ci sono poi medici ucraini che stanno chiedendo la castrazione dei prigionieri di guerra. E c’è la mia preferita: la Russia sta inviando "2mila tonnellate di aiuti umanitari all’Ucraina e al Donbass".

Questa è la guerra – anzi "l’operazione militare speciale", perché di guerra non si può parlare – sui media pro-russi, dove basta un clic per trovarsi in un mondo capovolto in cui uno Stato straniero non si occupa né s’invade, ma "si libera" e dove gli unici bombardamenti di cui si fa menzione sono sempre e solo ad opera degli altri: "Gli ucraini che distruggono una scuola", "gli ucraini che attaccano il Donbass e ammazzano 4, 10, 20 persone per volta", "gli ucraini che non permettono la creazioni di corridoi umanitari per far uscire la gente da Mariupol", "gli ucraini che impediscono l’intervento delle ambulanze", sparando su volontari e infermi. Non c’è un documento che non sia una dichiarazione di giornalisti da tempo considerati vicini, troppo vicini alla Russia. Niente video, niente foto.

Gli ucraini talmente nazisti che si bombardano da soli per il puro gusto di fare e farsi del male, gli ucraini tutti nazisti perché il Battaglione Azov, una minoranza della minoranza della minoranza, si proclama nazista. Se si fa menzione di un attacco russo a morire sono sempre radicali e "mercenari", mai i civili.


Lo studio durante una diretta di RT (Twitter)

La guerra quindi c’è, ma non si nomina, e soprattutto non si vede, come la nebbia di Totò e Peppino a Milano, anzi si vede solo da una parte quando si aprono i siti internazionali più vicini al Cremlino, e cioè Rt (l’ex Russia Today), Sputnik, Tass e Ria Novosti.

Il sito Sputnik in lingua italiana da qualche giorno risulta inaccessibile anche in Svizzera, era quello più spregiudicato, in cui le bugie venivano messe online senza filtri: un mix di provocazioni e notizie sapientemente dosato per preoccupare l’utente occidentale ("si avvicina la guerra nucleare per colpa di Usa e Ue", "gas e benzina raggiungeranno cifre mai viste prima" e via discorrendo), per leggerlo in francese c’è chi si iscrive ai gruppi Telegram, che è il modo con cui i media russi stanno cercando di aggirare la censura voluta dai Paesi dell’Ue.

Twitter in lingua francese avvisa che Sputnik è "un media affiliato allo Stato russo", l’ultimo tentativo del sito pro-Putin prima del blocco imposto dal social network è un invito a procurarsi una Vpn, ovvero una connessione a una rete privata che impedisce di localizzare da dove si è connessi, garantendo così l’accesso nonostante il cartellino rosso.

In questi giorni, i canali russi hanno calato i loro assi, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e l’ex presidente e primo ministro Dmitry Medvedev, l’uomo che ha scaldato – a seconda delle circostanze – le poltrone a Putin: entrambi spiegano alla loro audience l’infinita serie di errori dell’Occidente, parlando di "russofobia crescente" senza trovare una colpa che sia una alle azioni di Mosca, che anzi sarebbe stata costretta a "denazificare e demilitarizzare l’Ucraina", perché nessuno ha voluto risolverla con la diplomazia. Da quel che si evince nel testo, per loro "diplomazia", significa più o meno: "non ci è stato dato quello che abbiamo chiesto". E se prendere per oro colato tutto quel che ci arriva dal fronte è sbagliato (anche sui media occidentali), prendere sul serio questo truffaldino gioco delle tre carte, dove qualunque carta si scelga vince sempre il banco, non è tollerabile.


Le bombe su Belgrado della Nato, nel 1999 (Keystone)

Attorno alla guerra il contorno di notizie non è mai casuale: inchieste sul comportamento violento dei soldati britannici, analisi sulla mancanza di democrazia e trasparenza negli Usa a partire dall’assalto Capitol Hill. C’è anche il disco rotto dell’intervento in Iraq, il Vietnam, perfino un azzardato legame tra la guerra in Kosovo (1999) e quella in Ucraina. Ciò che accade oggi a Kiev e nel Donbass sarebbe figlio delle bombe Nato su Belgrado: in tutto questo, nessun accenno alle colpe dei serbi, alle loro violenze, ai massacri, alle deportazioni. Sembra un libro di storia a cui qualcuno ha strappato le pagine, sbianchettato le parti che non seguono un filo logico predeterminato, perché la grande lezione di questi siti di informazione telecomandati dal Cremlino è che la storia la devi aggiustare quando è già successa ed è un’operazione complessa, poco credibile; il presente invece è molto più malleabile, è ancora in movimento e puoi piegarlo facilmente alle tue esigenze. Se lo impacchetti nel modo giusto trovi anche chi ci crede, a Mosca come a Parigi o Londra, in Kamchatka come in Ticino.

E per i più affezionati sostenitori dell’operazione militare speciale si può sempre fare un salto nel negozio virtuale di Rt, dove una maglia con la "Z" dell’invasione costa 13 dollari e 82 centesimi (poco meno di 13 franchi). Sembra un po’ troppo, ma si sa, "in amore e in operazione militare speciale tutto è lecito".


E le bombe dei serbi su Pristina, in Kosovo (Keystone)

Fake news

Anche la Croce Rossa nel tritacarne

Nei giorni scorsi è circolato, soprattutto sui social, un invito a non effettuare donazioni per l’Ucraina alla Croce Rossa Internazionale, accusata di "aiutare" le deportazioni di profughi ucraini in Russia. Si tratta dell’ennesimo episodio di disinformazione nel contesto della crisi ucraina, originato da un’interpretazione del tutto arbitraria di un fatto reale.

A innescare il tutto la notizia, riportata dai media russi, che il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Icrc), Peter Maurer, avrebbe chiesto alle autorità di Mosca di facilitare l’apertura di un ufficio a Rostov sul Don, la città russa più grande vicino ai confini con l’Ucraina. Da qui, la reazione di Kiev, che tramite il presidente della Commissione sanità del parlamento, Mykhailo Radutsky, ha sostenuto che tale decisione da parte della Croce Rossa sarebbe stata una legittimazione dei ‘corridoi umanitari’ verso la Russia e della ‘deportazione forzata’ dei profughi ucraini. Dichiarazione che, come spesso accade in quella specie di confuso "telefono senza fili" che è il web, si è trasformata nell’assunto, ovviamente infondato, che "La Croce Rossa aiuta i russi a deportare gli ucraini".

Dal canto suo, l’Icrc ha smentito ogni "aiuto" ai russi in presunte "deportazioni", rispondendo seccamente su Twitter: "Non aiutiamo mai a organizzare o a realizzare evacuazioni forzate. Questo è vero in Ucraina. Questo è vero ovunque lavoriamo nel mondo. Non sosterremmo nessuna operazione che va contro la volontà della gente". Il Comitato della Croce Rossa ha ribadito che l’Organizzazione "lavora su entrambi i lati", e che il suo unico fine è rispondere ai bisogni della popolazione ovunque essa si trovi. E sull’eventuale apertura di un ufficio a Rostov, attualmente inesistente, l’Icrc dichiara: "Stiamo potenziando la nostra organizzazione regionale per essere in grado di rispondere ai bisogni dove li vediamo". Finalità alla quale, appunto, risponderebbe l’apertura di un ufficio a Rostov, città molto vicina alle zone dell’Ucraina orientale, dalle quali è effettivamente in atto un flusso di decine di migliaia di residenti filorussi del Donbass che trovano rifugio in Russia.

Respinte al mittente anche le polemiche sull’incontro fra Maurer e il ministro degli Esteri russo Lavrov: "La Convenzione di Ginevra ci impone di parlare a entrambe le parti coinvolte in un conflitto: questa settimana il nostro presidente era in Russia, la settimana scorsa era in Ucraina".

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