Estero

La Colombia depenalizza l’aborto, e la polemica divampa

Storica sentenza nel paese sudamericano. La Corte, con una maggioranza risicata, autorizza l’interruzione fino a 24 settimane di gravidanza

Attiviste pro-aborto esultano all’annuncio della sentenza
(Keystone)
22 febbraio 2022
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Buenos Aires – Sentenza storica in Colombia: la Corte costituzionale ha depenalizzato l’aborto, autorizzandolo fino alla 24esima settimana di gravidanza, superando una precedente norma che lo consentiva solo in caso di stupro, gravi malformazioni o serio pericolo per la donna. Una norma, quella finora in vigore, che prevedeva fino a quattro anni e mezzo di carcere per chiunque abortisse o aiutasse una donna a farlo, al di fuori di questi casi.

Da ora in poi sarà invece possibile abortire fino al sesto mese di gravidanza senza dover fornire alcuna motivazione, un limite ben più ampio anche rispetto a quanto previsto in Italia dove l’aborto – ad eccezione di quello terapeutico – è consentito entro i primi tre mesi di gravidanza.

Una sentenza divisiva

La decisione colombiana ha suscitato ampi consensi, ma anche reazioni critiche e polemiche: movimenti femminili e femministi, esponenti politici, organizzazioni sociali e anche l’ufficio dell’Onu a Bogotà hanno accolto con favore una sentenza che mette fine a decenni di mancate decisioni da parte del Parlamento. Infatti, dal 1975 l’organo legislativo ha avuto la possibilità di esaminare, senza averlo fatto, almeno 39 iniziative legislative di tutte le tendenze politiche. Per cui, mettendo fine a questo stato di cose, con una sentenza divisiva – cinque giudici a favore e quattro (fra cui tre donne) contro – la Corte costituzionale ha anche ordinato al ministero della Salute e al governo di emanare urgentemente un regolamento in cui siano chiare le regole per l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Probabilmente anche entrando in merito alle 24 settimane di gestazione, ritenute da più parti troppo estese.

In precedenza la stessa Corte nel 2006 aveva già depenalizzato l’aborto in caso di stupro, incesto o se la vita della madre o del feto fossero in pericolo. Ora queste tre circostanze potranno essere invocate nel caso di donne che volessero abortire oltre il periodo previsto.

Il dibattito è appena cominciato

Agli applausi dei movimenti che per anni si sono battuti per la depenalizzazione, si sono opposti oggi gli interventi critici per il termine di 24 settimane previsto dalla sentenza, di alte personalità del governo colombiano, fra cui la ministra degli Esteri e vicepresidente, Marta Lucía Ramírez, e lo stesso presidente della repubblica, Iván Duque, manifestatosi da sempre ‘pro vita’. E se la ministra Ramírez ha sostenuto che "più che depenalizzarlo, si sta legittimando l’aborto", Duque ha sottolineato che "siamo di fronte a una decisione che riguarda l’intera società colombiana e cinque persone non possono proporre a essa qualcosa di così atroce come permettere che una vita si interrompa fino a sei mesi di gestazione".

Su questo delicato tema, in definitiva, il dibattito è appena cominciato. Tuttavia non si deve dimenticare che nel 2020 almeno 4’268 ragazze di età compresa tra i dieci e i 14 anni sono rimaste incinte in Colombia, dove le relazioni sessuali con bambine o adolescenti sono considerate stupro. Inoltre, ha ricordato l’avvocatessa Cristina Rosero della ong Causa Justa, "l’aborto è la quarta causa di mortalità materna nel Paese e si stima che dei 400’000 che annualmente vengono praticati in Colombia, meno del 10% lo sono in istituzioni sanitarie con controlli adeguati".

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